Territorio di Corona del Re


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La corte del Reggente



Corona del Re è il centro, politico come geografico, delle Terre Spezzate. Fin dai tempi in cui gli elfici Re della Primavera vi abitavano, queste terre fertili e dal clima temperato costituivano il luogo ideale in cui vivere e prosperare. Adagiata sul versante orientale del Mar Bianco che naturalmente ne segna il confine occidentale, Corona del Re confina a nord-ovest con Valleterna e a sud-ovest con Venalia, mentre ad est si estende il Mar d'Alba. Circa all'altezza di Dimora, la capitale, il Mar Bianco e il Mar d'Alba comunicano tra loro attraverso uno stretto che taglia Corona del Re, il Braccio del Sole.

Il territorio meridionale di Corona del Re, sotto al Braccio del Sole, è ricco di fitte foreste, placide vallate e dolci zone collinari. Da sud scorre il Fiume Indaco, la cui vallata è lambita ad ovest dalla Selva dei Lupi, e ad est dal Gran Querceto, boschi sconfinati e pericolosi che si estendono fino al mare. Seguendo il corso del fiume verso Dimora gli alberi diradano e si apre la Bassa Valle dell'Indaco, fertile e fortemente coltivata. Lungo la Costa Aurora, che dal Braccio del Sole scende fino al Gran Querceto, sorgono le città di Capo d'Alba e di Litoranèa, circondata a nord-ovest dal Bosco d'Alba, che in passato fu Riserva di Caccia del Re. Nelle profondità del bosco si trova la Fonte Placa, da cui nasce l'omonimo affluente dell'Indaco, il Fiume Placo. Circondata dalle acque si trova la colossale capitale del Principato, Dimora, lambita a nord dal Braccio del Sole, a sud dalla foce dell'Indaco e ad ovest dal Mar Bianco. Da Dimora a Porto Bianco si estende infine la Costa Magna, anch'essa zona fortemente agricola.

Il territorio settentrionale, sopra al Braccio del Sole, si estende verso nord fino al Golfo Grande ed è dominato dalla città di Roccamagna. Ad est, lungo la Costa Romita si apre il vastissimo Bosco Cervo, che da alcune generazioni è la nuova Riserva di Caccia Reale; a nord la cittadina di Vento controlla sia il Bosco Cervo sia i Monti Celèbei, che quasi sconfinano nei territori di Valleterna scemando, verso sud, nell'Isola Verde, un territorio pianeggiante e basso collinare che le frequenti piogge rendono perfetto per l'allevamento.

Molti dei toponimi della regione per lungo tempo mantennero la propria originaria matrice elfica, ma le numerose dominazioni cui fu soggetta Corona del Re modificarono la maggior parte dei nomi e solo i Monti Celèbei conservano ancora l'impronta linguistica lasciata dagli Elfi.

Mappa dettagliata di Corona del Re


Terre Selvagge di Corona del Re

Vaste sono le campagne di Corona del Re e ancor più vaste le zone non popolate e inospitali di questo Principato. Mentre nelle città gli uomini sono nemici di se stessi, artefici e vittime di inganni, intrighi e tradimenti, al di fuori delle mura si annidano nemici più palesi, creature inumane e ferali che minacciano contadini, viaggiatori e quei coraggiosi, guardiacaccia e soldati della Guardia Reale, che hanno giurato di proteggere l’ordine e i sudditi di Sua Maestà.

Tra il Mar Bianco e il limite occidentale della Valle dell’Indaco si estende la Selva dei Lupi, una foresta fitta e inospitale in cui persino gli alberi appaiono maligni ed ostili e branchi di creature simili a lupi, ma su due zampe, vivono e minacciano la vicina Strada del Re e le campagne intorno alla città di Sentinella e di Porto Bianco.
Inoltre, quando Calandro Malachei, Barone di Porto Bianco, cercò di tagliare una larga fascia di bosco per allargare i propri latifondi, si dice che gli alberi stessi si siano animati e abbiano falciato boscaioli e soldati, distruggendo numerose delle fattorie più vicine alla selva. Il successivo tentativo del Barone di dare alle fiamme la foresta fallì, e da allora chiunque sia saggio si tiene ben lontano da questo luogo maledetto.

Il Gran Querceto è la foresta più vasta di Corona del Re e costeggia a poche leghe di distanza la Strada del Re e il corso del fiume Indaco sul lato orientale. I paesi di boscaioli al limitare della selva sono costantemente funestati da orchi e creature bestiali a stento tenute a bada dai guardiacaccia di stanza a Querciantica, e si dice che il cuore del bosco sia un luogo talmente pericoloso da risultare quasi inaccessibile persino agli esperti uomini di Leonforte Frecciarossa.
Si dice che nel Gran Querceto ci siano anche i resti di un’antica città degli Elfi, immersa nel bosco e protetta dagli spiriti, adirati per il massacro compiuto nella loro foresta. I guardiacaccia non si avventurano mai fin là, e solo avidi cercatori di fortune partono ogni tanto da Litoranèa per cercare la città perduta che, si dice, essere piena di argento e tesori. Nella Riserva di Caccia del Re, l’esteso e pericoloso Bosco Cervo, i guardiacaccia di Vento non solo hanno a che fare con minacciose creature bestiali che uccidono la selvaggina e attaccano villaggi e viaggiatori lungo la Strada Verde, ma raccontano di misteriose e lugubri rovine. Radure nel cuore della foresta intervallate da rozzi moncherini di mura, da cui di notte, e nei giorni senza sole, si levano grida malefiche. I Pitti locali si rifiutano di credere che possa trattarsi di antichi ruderi elfici, poiché la natura di tali costruzioni è sgraziata e primitiva a discapito della sublime e triste bellezza di ciò che resta dei palazzi dei Re della Primavera. “La morte chiama la morte”, sentenziano gli uomini dal volto dipinto e, benché sia dovere dei Guardiacaccia battere anche quella zona, è certo che vi si avventurino di rado e malvolentieri.

A Roccamagna e Vento c’è un nome che spaventa i bambini più di qualsiasi storia di orchi o uomini bestia, questo nome è Strazzabosco. Alcuni sostengono che sia il più crudele e astuto dei bracconieri che Corona del Re abbia mai avuto, altri che sia una creatura silvana, semi bestiale, uno spirito della foresta infuriato perché l’antica sacralità di Bosco Cervo viene violata dalla caccia dei nobili. Ma la verità è che, almeno secondo i guardiacaccia reali e i viaggiatori lungo la Strada Verde, nessun viandante che si sia imbattuto in Strazzabosco è vissuto abbastanza da raccontarlo.

In grotte e caverne nascoste dei Monti Celèbei si annidano i malvagi ed infidi Goblin, creature quasi civilizzate che, in bande, attaccano i piccoli insediamenti di minatori e le carovane che trasportano l’argento a valle. A Vento alcuni sostengono che i Goblin estraggano essi stessi il prezioso metallo, e che nel cuore della montagna si cèli addirittura una loro città, in cui il Re dei Goblin vive ed accumula tesori. I pochi appartenenti a questa razza che appaiono civili e che, ogni tanto, si fanno vedere tra le vie di Vento ovviamente negano tali supposizioni e servilmente spiegano con stentate parole che il brigantaggio è la sola attività con cui i Goblin possano sperare di sopravvivere.

Di fronte alla città di Capo d’Alba, sul versante settentrionale del Braccio del Sole, sorge una città spettrale il cui vero nome si è perso nella memoria, e che dai Coronensi viene chiamato Borgo Silente.
Probabilmente fu una città elfica data alle fiamme, poiché le sue rovine sono scure e tetre, ma nonostante la si pensi essere funestata dagli spiriti, sul borgo regna un inquietante e innaturale silenzio. Pochi sono coloro che vi si sono avventurati e ancor meno quelli che hanno fatto ritorno con racconti di raccapriccianti, spaventose creature che si annidano tra i ruderi e proteggono un luogo magico al centro dell’antica città.

Nonostante non sia più Riserva Reale di Caccia da oltre tre generazioni, pochi boschi sono protetti ed impenetrabili come il Bosco d’Alba. Non è permesso ai locali nemmeno di raccogliere castagne, noci o rami secchi in questa piccola foresta nei pressi di Litoranèa da cui sorge il torrente Placo. Tra i villici, nelle campagne circostanti, si accavallano leggende sulle proprietà magiche e miracolose della misteriosa Fonte Placa al centro della selva, tenuta segreta dalla famiglia degli Aloisi. Benché in molti credano, più verosimilmente, che nel letto del Placo si trovino invece piccole pepite d’oro o d’argento.

La gente di mare, nei porti di Litoranèa e Capo d’Alba, racconta che l’Isola delle Nebbie, nel tratto di Mar d’Alba di fronte al Gran Querceto, non sia disabitata come si crede. I navigatori meridi riferiscono, a volte, di vedere luci provenire dall’isolotto e di aver scorto nel mare circostante, dopo forti mareggiate, resti di rudimentali imbarcazioni simili a zattere. Ecco perché in molti sono convinti che sull’Isola delle Nebbie sia sorto, chissà come e chissà quando, un vero e proprio insediamento di Orchi. Le nebbie che spesso avvolgono l’isola e i pericolosi scogli che la circondano rendono però piuttosto difficoltoso avvicinarsi abbastanza con le navi. Si dice che alcuni coraggiosi, o folli secondo l’opinione comune, siano partiti alla volta dell’Isola delle Nebbie, ma che non abbiano fatto ritorno.