Storia di Venalia
Vedi anche il Principato di Venalia: territorio - commerci - società - nomi tipici - storia
La corte della Basilissa - venali di chiara fama - mappa di Venalia
Tempi Antichi
La storia di
Venalia ha origini piuttosto recenti: il
Principato è infatti indipendente solo dal 1125 e formalmente riconosciuto dall’insediamento di
Adriano dei Gastaldi sul
Trono del Sole. Tuttavia molti sono gli avvenimenti che meritano di essere menzionati, risalenti agli albori della civiltà nelle Terre Spezzate.
Quando gli
Adusti giunsero dal deserto, molte tribù si spinsero a nord della
Valle del Patrio e dei
Monti Secchi, nelle più settentrionali e fertili terre che oggi appartengono ai Venali. Erano i tempi in cui i
Re della Primavera governavano saggiamente, mentre gli
Uomini della Sabbia costruivano le prime città di
Fanos e
Calastea e combattevano dure lotte per la sopravvivenza con le mostruose creature che infestavano i territori.
Le tribù venali, pur venerando il
principio del Fuoco e pur possedendo alcuni rudimenti di magia, erano impreparate all’enorme potere distruttivo che gli sciamani meridi avevano sviluppato, così fu ben misera la resistenza opposta quando
Crisostomo I giunse per conquistare e unire tutte le tribù in un unico regno: l’
Impero del Fuoco.
Sotto l’egemonia dell’
Eliarca vennero esplorate le fertili terre a nord e fondate le città di
Candia e
Vigezia, dove Oreste Cipridi, primo
Arconte della Provincia, fissò la sede del governo locale.
Periferia estrema di un vasto territorio,
Venalia era lontana dal centro di potere politico e religioso, e mentre nelle province di
Meridia e
Salamandra (che formavano l’attuale
Principato merida) fiorivano gli studi sulla
magia, i Venali si dedicavano principalmente allo sviluppo di un’antica tecnica adusta di trattamento dei materiali grezzi per facilitarne la conservazione e la lavorazione, ponendo le basi per l’arte che ne avrebbe segnato la fortuna economica: la
Raffinazione.
Nonostante i secoli dell’
Impero del Fuoco siano caratterizzati da una totale subordinazione al governo di
Salamandra, dalla pesante ingerenza religiosa esercitata dall’emissario dell’
Eliarca, la
Voce del Fuoco, e dai pesanti tributi imposti, questo fu un periodo di pace e di relativo benessere per la regione. Fu quindi naturale per i Venali opporsi con ogni forza ai brutali
Uomini del Mare, giunti a minacciare una società antica e consolidata.
Il momento dello scontro fra le forze di
Venalia, avanguardia dell’esercito dell’
Eliarca, e le orde di conquistatori del nord viene considerato da molti sapienti la genesi dell’avversione di questo popolo per la guerra. La violenza delle battaglie di conquista e la bruciante sconfitta subita dai difensori vengono ancora oggi annoverate con vergogna e costernazione.
A dispetto di ogni aspettativa la dominazione degli
Uomini del Mare fu tutto sommato tollerabile, almeno fino all’arrivo dei
Niviani. I duri tributi da versare e le leggi cui sottostare non erano per i Venali troppo diversi da quelli imposti dagli
Eliarchi, e il pesante divieto di fare magia che a
Meridia influì profondamente sulla società, a
Venalia comportò cambiamenti non significativi.
Fu questo il primo periodo di espansione dei traffici commerciali verso le
Terre Spezzate, grazie soprattutto ai porti di
Vigezia e
Candia. È inoltre da ascriversi a quest’epoca anche lo sbocciare dei primi desideri di indipendenza da
Meridia, la cui società si andava sviluppando in modo assai diverso da quella venale.
Il
Dominio del Mare durò per poco meno di quattro secoli, tempo in cui
Venalia consolidò la propria supremazia nella gestione dei traffici commerciali e rafforzò la propria identità culturale, cullando il desiderio di riscattare il proprio passato, in attesa di una svolta.
La svolta giunse nel 198, quando nel
Golfo di Vigezia “ ...a bordo di
navi lunghe e larghe, con chiglie appuntite in grado di tagliare le onde e vele gonfie dei venti del mare dell’ovest…” sbarcò un popolo di pacifici viaggiatori dalla pelle eburnea: i
Niviani.
Pratici, disillusi, astuti e materialisti, nonché marinai ed artigiani eccezionali, i
Niviani ripagarono l’ospitalità venale condividendo le rivoluzionarie conoscenze in campo marittimo e consigliando mercanti e politici, forti di un’altissima tradizione di pensiero. Nel rispetto delle imposizioni dei
Re del Mare il popolo in viaggio si limitò invece nell’arte magica, in cui molti dei suoi esponenti eccellevano. Ma nonostante l’accortezza dei
Niviani e la loro dimostrazione di civiltà, nei rozzi
Uomini del Mare nacquero sentimenti di odio e di intolleranza razziale tanto forti da causare vere e proprie persecuzioni ai danni dei “Pallidi”. Così, mentre i commerci venali esplodevano grazie all’introduzione della navigazione veloce, i
Niviani erano costretti a nascondersi e ad agire nell’ombra, protetti dalla benevolenza e dall’apertura di pensiero degli
Uomini della Sabbia. Fortunatamente l’entusiasmo iniziale della “caccia al pallido” scemò in fretta, limitandosi a fastidiose discriminazioni; gli
Uomini del Mare avevano scioccamente smesso di considerare i nuovi arrivati una minaccia a causa della loro scarsa predisposizione, sia fisica che sociale, alla guerra e al combattimento.
Una nuova citta'
Non passò molto tempo prima che alcuni
Niviani di pensiero radicale, in disaccordo con la condivisione indiscriminata del sapere e la sopportazione di angherie razziali sempre più evidenti, si unirono in un clan e partirono alla volta dei
Monti Secchi per colonizzare un nuovo territorio e fondare una propria città. Intento della spedizione era quello di chiudersi in un isolazionismo che permettesse loro di vivere pacificamente difendendo la propria identità culturale, ma né delle carovane né della nuova civiltà si ebbe più notizia, e i
Niviani di
Venalia si rassegnarono alle voci che volevano i loro consanguinei morti a causa delle creature selvagge, delle asperità del territorio o dei briganti che già funestavano il
Deserto Agrosecco.
Il nuovo popolo si adattò perfettamente alla società delle province meride, popolò le città venali e si trasferì progressivamente anche nelle città di
Piazza del Sole ed
Ambra. Vessati dal divieto di fare magia i curiosi
Niviani si dedicarono con successo all’artigianato, al commercio, e a due arti a loro sconosciute di cui sarebbero presto diventati maestri, l’
Alchimia e le segrete tecniche della Raffinazione.
Il Dinfesore degli Uomnini
Nel 361 giunse a
Vigezia un giovane
Arconte di origini meride, un uomo forte ed ambizioso che un giorno sarebbe stato chiamato “il Difensore degli Uomini”. Alessandro era stato inviato nella remota provincia in seguito a macchinazioni politiche, ma la sua immediata curiosità per le usanze venali e l’amicizia personale che lo legò a famiglie niviane contribuirono in modo significativo alla sua gloriosa ascesa.
I Venali appoggiarono i desideri di conquista di Alessandro e finanziarono parte della sua campagna militare, iniziando la costruzione di una
flotta da guerra come mai se ne erano vedute prima, una flotta che mettesse a frutto le nuove conoscenze introdotte dai
Niviani. Il ricordo dei
Venali va dunque ad Artemio
Pelagi, che realizzò e condusse in mare l’armata navale di Alessandro, sconfiggendo gli
Uomini del Mare e ripagando il popolo venale delle angherie subite. Si dice addirittura che quando il
Difensore degli Uomini visionò i progetti della nave ammiraglia, la “Volontà del Sole”, commentò soddisfatto che il
Mare Interno si sarebbe arrossato del sangue dei nemici e che, una volta re, avrebbe cambiato il suo nome in
Mare Scarlatto. Ma le cose andarono diversamente, e quando i Venali giunsero con l’imponente flotta alessandrina, le imbarcazioni degli
Uomini del Mare opposero una ridicola resistenza e quindi ripiegarono in porto per arrendersi. Il mare quel giorno fu solo bianco di schiuma, e Alessandro per celebrare l’episodio ed onorare il genio niviano, ribattezzò il mare interno come:
Mar Bianco.
Ma Alessandro riconobbe ai Niviani anche ben altri benefici, investì alcune delle famiglie più ricche e potenti di titoli nobiliari e terre, e diede in sposa la propria figlia minore al figlio di Artemio
Pelagi, un giovane Niviano di nome Febo. Da allora i
Niviani mischiarono il proprio sangue con quello degli
Uomini della Sabbia, generando stirpi che ancora oggi dominano sul Principato. Solo l’antica famiglia dei
Cipridi, tradizionalista e radicale, non accettò mai matrimoni misti e mantenne intatto il sangue del “popolo in viaggio”.
Il
Regno del Sole segnò una vera e propria età dell’oro. Da una parte esso fluiva a fiumi nelle casse venali, in poco tempo strettamente legate ai nuovi venuti, grazie ai fiorenti commerci favoriti dalla pace del regno e da un efficiente sistema stradale introdotto da Alessandro. Dall’altra il prezioso metallo veniva scoperto in ricche vene presso i
Monti Valenti ad est di
Vigezia, lungo i costoni si aprivano miniere costantemente sorvegliate da armati, e ai piedi dei monti si andava formando il piccolo borgo fortificato di
Nassilia.
Secoli Bui
La morte di Alessandro, giunta nel 418 per sprofondare nel caos le
Terre Spezzate, colse il Regno impreparato, e l’anarchia generata condusse i Principati verso il periodo noto come i
Secoli Bui.
Venalia rimase la provincia settentrionale di
Meridia, ma i potenti
mercanti tennero viva l’economia del
Principato, e così come nobili e
Cavalieri cercavano di imporsi con la forza nei territori, i coraggiosi carovanieri venali mettevano a rischio il proprio denaro e la propria vita per mantenere attivi i commerci.
Verso L'indipendenza
Il coraggio venale diede i suoi frutti, e i tempi apparvero giusti per l’agognata indipendenza da
Meridia; così i nobili al potere sedavano debolmente le rivolte contro la Corona Merida, e allo stesso tempo fomentavano il popolo, finanziando i ribelli. Le voci di padri missionari che predicavano una nuova religione profetizzata a
Valleterna furono ignorate in virtù di obiettivi ardui e ambiziosi; così il
Profeta della Tetrade,
Castamante, aveva già conquistato
Corona del Re quando i suoi piani si volsero a
Venalia. Ma i diplomatici venali riuscirono comunque a vedere lontano, e prima dell’invasione armata dei potenti Cavalieri valniani che avrebbe messo in ginocchio il
Principato, fu abbandonata ogni velleità d’indipendenza e trattata la pace con il “
Campione del Glorioso”.
Venalia si sottomise così quasi senza combattere, grata di avere una nuova pace al prezzo di un Signore diverso cui pagare i tributi.
Nei primi anni del decimo secolo, in piena dominazione valniana, un terribile morbo imperversò per le campagne venali colpendo i cavalli e portandoli rapidamente alla morte. Ma quando la
Peste Equina sembrava essersi placata nei territori meridionali delle
Terre Spezzate, nuovi focolai nacquero a Valle-terna per poi propagarsi velocemente in tutto il Regno. Nel decennio nero tra il 973 e il 983 il morbo iniziò a contagiare anche gli uomini, e i cavalli che non morivano di malattia venivano bruciati dalla folla in preda al panico. Le città si svuotarono e le
Terre Spezzate tutte furono messe in ginocchio. Ma i Venali cercarono di reagire immediatamente alla catastrofe, e seppero vedere lontano per costruire ricchezza in risposta a quella che si annunciava come la peggiore recessione di sempre. La totale assenza di cavalli fu in breve sostituita, nel commercio carovaniero, da buoi e asini, ma nuove prospettive si erano aperte soprattutto per il commercio marittimo; forti della propria supremazia navale, i Venali incrementarono la propria ricchezza fronteggiando la mancanza equina con navi leggere e veloci per merci e passeggeri.
Di contro la Peste Equina aveva indebolito tutti i Principati,
Valleterna aveva perso il suo primato militare,
Meridia mostrava il fianco alla tanto agognata indipendenza: i tempi erano maturi per la secessione.
L'indipendenza
Inaspettatamente furono proprio i tanto disprezzati
Uomini del Mare a creare l'occasione propizia. Approfittando della debolezza valniana i nobili di
Castelbruma,
Altabrina e
Neenuvar si erano uniti per rovesciare il
Tetrarca e, soprattutto, bandire il
Culto della Tetrade e restaurare l’
Antica Religione. Le
Terre Spezzate furono nuovamente sconvolte dalla guerra, e in breve sul trono di
Dimora sedette un “Re della Bruma”, Abelardo
d’Urso.
Venalia cedette le armi al nuovo potere, mentre
Meridia resistette e non si piegò, ma aveva comunque perso la sua provincia settentrionale.
Meridia avrebbe dovuto combattere contro gli uomini del Re oltre che contro i ribelli venali per riprendersi i suoi territori.
In pochi anni apparve chiaro che il Trono brumiano era traballante e destinato a cadere in fretta: la popolazione era già troppo devota ai Quattro Dei per piegarsi alle repressioni religiose, e persino gli alleati di
Neenuvar ritirarono il proprio appoggio dopo la presa della capitale, che non fu loro restituita a dispetto degli accordi presi. A fronte di mille focolai di rivolta a
Valleterna e
Corona del Re, Re Abelardo
D’Urso fu costretto ad abbandonare il sud a se stesso; per
Venalia giunse l'occasione attesa da intere generazioni, e fu colta prontamente. Le nobili famiglie venali, nella persona del loro rappresentate il Principe Basilio I, al secolo Aureliano
Galatei, si proclamarono libere dal dominio sia di
Castelbruma che di
Meridia. Nel terzo giorno della seconda decade di Brumaio, anno 1125, il Principato di Venalia vide la luce.
I Brumiani, ormai impegnati in aspri scontri su vari campi di battaglia nel nord delle
Terre Spezzate, dovettero rinunciare in partenza a soffocare la ribellione per non compromettere definitivamente il controllo su
Dimora.
Meridia, invece, vistasi privata d’improvviso di una florida fetta del proprio territorio, si mosse con rapidità per ristabilire il controllo, ma cozzò contro la potente flotta nemica e, sopratutto, contro le numerose compagnie di mercenari al soldo venale.
I primi anni di indipendenza furono un ritorno all’età dell’oro, e le famiglie che da secoli influenzavano politicamente ed economicamente il
Principato furono finalmente libere di operare in modo legittimo. Il Principe e la sua corte apportarono grandi innovazioni e diedero il via ad imponenti costruzioni, che certamente soddisfecero secoli di repressioni ma che, allo stesso tempo, contribuirono ad aumentare le già evidenti contraddizioni della società venale. Le corporazioni di mercanti che possedevano il segreto della raffinazione vennero unificate in un’unica corporazione sotto il controllo del Principe, gli affari vennero registrati e controllati dal
Grande Archivio Tributario, la flotta navale si rafforzò di navi e uomini e i soldati della
Milizia furono sempre più utilizzati nella difesa di strade e commerci. Ma la nuova ricchezza che si riversava nelle casse principesche grazie all’assenza di tributi alimentò anche l’edificazione di palazzi sfarzosi oltre l’immaginabile, e si acuì una spasmodica ostentazione del lusso a fronte della preoccupante povertà dei bassi strati della società.
Venalia divenne in fretta ciò per cui oggi è nota in tutte le
Terre Spezzate.
I Gastaldi
Quando Adriano dei
Gastaldi, nobile coronense di antichissimo lignaggio, giunse a parlamentare con la Corte venale in cerca di consenso ed alleanze, fu il primo atto di legittimazione che il Principato abbia ottenuto. Ansioso di ristabilire una pace che facesse prosperare i commerci, il Principe Basilio VIII istituì a
Candia una sede permanente di mercenari al soldo venale e concesse la propria alleanza a
Corona del Re. Il nobile
Gastaldi stava infatti stabilendo un’intesa che gli permettesse di rovesciare il potere brumiano riunendo in una nuova pace le
Terre Spezzate. Offrendo il proprio aiuto i Venali si assicurarono l’indipendenza riconosciuta dal futuro Re, un potente alleato contro le probabili ritorsioni meride, e un lasciapassare privilegiato per il ricchissimo mercato di
Dimora.
Gastaldi aveva infatti promesso titoli e terre alle famiglie che si fossero unite ai suoi intenti, ed enormi privilegi ai maestri alchimisti venali che si fossero trasferiti a
Corona del Re.
Si racconta che durante la battaglia finale per la presa della capitale alcuni degli uomini del contingente venale fecero uso di incredibili poteri distruttivi che seppero prendere di sorpresa i Brumiani e segnare l’esito della battaglia.
Oggi
Venalia è un Principato affascinante ma ricco di evidenti contraddizioni. Il governo della Basilissa
Desdemona degli Alcestidi e' continuato nel solco del governo di
Basilio X, al secolo Leandro Alcestidi, é burocratico, eccessivo, vanaglorioso e probabilmente corrotto, ma anche profondamente tollerante riguardo alla libertà, sia sociale che religiosa, dei suoi sudditi. È il Principato dello sfarzo e del lusso, in cui si dice che “chiunque può diventar ricco, persino un
goblin”, meta per chiunque possegga ambizione, volontà, pochi scrupoli, una somma di denaro, e soprattutto la forza o l’astuzia per proteggerla.