Storia di Neenuvar
Tùilenor era il nome della terra, prima che fosse spezzata in sette frammenti, quando il mondo era giovane e gli Elfi ancora sedevano ad Altamar. Di quest'epoca antica, il
Regno della Primavera, non sopravvive alcun ricordo, se non che le
Tùiletar, le Sovrane della Primavera, regnarono per un tempo che non può essere contato, anni in cui gli Elfi trascorsero la loro pacifica esistenza in armonia con le selve e i monti, con i fiumi e le bestie. Essi conoscevano i nomi segreti degli
Spiriti di tutte le cose che, in quell'era di leggende, ancora si aggiravano visibili sulla terra, camminando sui sentieri al di qua del velo, e rendevano loro grazia, intonando preghiere più vecchie del tempo per ricevere in cambio guida, legge e conforto. Si sussurra però una storia, di cui gli Elfi non parlano mai, su come giunse la fine di quei giorni fatati. Da sempre, nel buio delle più fitte foreste, protetti dai misteri della notte, vivevano gli Orchi, la più grande minaccia per il Regno della Primavera. Essi non erano quelle creature ferali e divise in piccole tribù che infestano i nostri boschi, ma guerrieri terribili e orrendi nell'aspetto che, lanciando razzie dai loro baluardi di pietra, inondavano l'oscurità di sangue e terrore, così come gli Elfi ricamavano il meriggio di luce e poesia. Venne così il giorno in cui un grande capo degli Orchi, il cui nome è stato avvolto dalle nebbie del tempo, riuscì con pugno di ferro a riunire sotto di se tutto il suo popolo, per poter finalmente travolgere con asce e mazze le città delle odiate Tùiletar. Gli Elfi, la cui antica legge proibiva la battaglia, ripararono allora in Altamar dove invocarono gli Spiriti per chiedere aiuto e consiglio. Ma le anime di tutte le cose dissero di non potersi schierare con i figli della primavera, poiché era nella loro misteriosa natura di vegliare tanto sul giorno quanto sulla notte. Si offrirono però di condurli in salvo, verso un luogo che non si può raggiungere, dove avrebbero potuto continuare a cantare anche dopo che il mondo fosse cambiato. Fu in quel momento che un giovane capitano,
Dàelin Elentàuron, parlò ai suoi fratelli con voce ardita, invitandoli ad infrangere l'antica legge e con battaglia e coraggio difendere Tùilenor, ciò che avevano di più caro. Così grande era l'amore degli Elfi per la loro terra che fuoco divampò nei cuori e quasi tutti si strinsero sotto i vessilli del giovane guerriero. Solo
Ylialisse, la bianca regina, e con lei la sua corte, i più antichi e saggi tra le genti della primavera, seguirono gli Spiriti lungo vie celate, sparendo così per sempre dalle storie e dai canti. Eppure, di tanto in tanto, c'è chi giura di averne sentito la loro voce, di averne intravisto i volti, nella risacca del mare, dietro la linea dell'alba. Dàelin preparò il suo popolo alla guerra e recitando per sette volte tre incantesimi proibiti sigillò nella
Lama degli Spiriti il potere delle voci di tutte le cose che ormai avevano voltato le spalle agli Elfi. Da Altamar si mosse così in marcia il più splendido e glorioso esercito che mai calpesterà le sette terre e con innumerevoli battaglie esso travolse tutte le difese degli Orchi. Durante l'ultimo di questi scontri Dàelin sconfisse in duello il capo dell'orda, decapitandolo con la sua sinistra spada. Si dice, tuttavia, che mentre nebbia e corvi si spartivano i cadaveri, la voce degli Spiriti risuonò nell'aria, scagliando una
terribile maledizione su Dàelin e la sua discendenza.
Non si conosce quanto ci sia di vero in questa storia, certo è che gli Orchi non risorsero mai più dalla sconfitta, regredendo lentamente allo stato ferale per cui sono conosciuti oggi, come certo è anche che
Anarin, divenuta la nuova regina di Altamar, volle l’eroico Dàelin come suo sposo e, con lui, regnò per un lunghissimo periodo su Tùilenor. Infine, quale che sia il motivo, nessun Elfo ha mai più invocato il nome degli Spiriti di tutte le cose, essi rivolsero invece le loro preghiera a quella
Madre Terra che avevano amato e difeso fino a dannarsi.
Durante il loro millenario dominio, gli Elfi non avevano mai conosciuto altri popoli che non fossero le feroci bestie che erano costretti a combattere; poi, un giorno, dal Sud giunsero delle curiose creature, estremamente forti e fragili insieme. Si trattava degli
Adusti, creature mortali eppure senzienti e dotate di spirito e di intelletto, che avevano viaggiato attraverso il deserto. Dàelin ordinò che i nuovi arrivati fossero accolti e protetti, vaticinando con parole di profezia che attraverso di loro il popolo della Primavera sarebbe sopravvissuto. Gli Elfi presero in fretta ad amare i giovani mortali, agli occhi degli Antichi primitivi ma affascinanti, e insegnarono loro le proprie arti. Gli Adusti, dal canto loro, furono lieti di trovare dei protettori tanto potenti e appresero avidamente tutto ciò che poterono.
Dopo alcune generazioni dai primi insediamenti, la storia narra che alcuni tra gli Adusti iniziarono a trovare opprimente la presenza costante dei loro inarrivabili mentori, desiderando una maggiore autonomia. Il conflitto esplose quando i due figli gemelli di un capotribù degli Adusti,
Penteo e
Partenio, ebbero un feroce diverbio a proposito degli Elfi. Penteo riteneva che per gli Adusti fosse giunto il tempo di sottrarsi alla loro ala protettiva, mentre Partenio era convinto che essi dovessero ritenersi fortunati ad avere delle guide tanto eccezionali. Poiché la lite sembrava non avere fine, Partenio, adirato, abbandonò il clan e la casa paterna chiamando con sé alcuni fidati. Il giovane si tatuò gli occhi di blu con l’intenzione di esprimere che egli era l'unico a vedere davvero il valore degli Elfi e fondò una nuova tribù presso i boschi di Altamar; in breve tempo nuovi Adusti andarono ad ingrandire quello che stava diventato un vero e proprio popolo. Tutti coloro che seguirono Partenio si tatuarono gli occhi di blu imitando il proprio capo, facendo poi lo stesso con i propri figli, e divennero sempre più legati alle foreste che abitavano in somiglianza allo stile di vita degli Elfi. Nacque così il popolo dei
Pitti.
Le creature mortali si riproducevano molto più in fretta rispetto ai millenari Elfi e, con il passare delle generazioni, esse cercarono nuove terre da abitare, spingendosi sempre più lontano da Altamar, finché alcune di loro non s’inoltrarono nelle selve a nord di Elen Eressea, all'ombra di un cupo intreccio di alberi vecchi quanto il mondo. Qui, poco a poco, nel frusciare delle foglie, nel limpido scrosciare dei ruscelli, nel tetro incedere della bruma, i Pitti cominciarono a udire la voce di quegli Spiriti ormai muti e nemici per gli Elfi. Ascoltando quelle parole antiche, i primi sciamani maturarono il desiderio di divenire padroni della loro terra e di poter finalmente scegliere la propria via, senza l'interferenza degli Elfi. Essi si inoltrarono fino al limite estremo delle terre selvagge e qui strinsero un'alleanza con i primitivi Bruti, genti rozze ma feroci in battaglia. Infine giunse il momento in cui
Saviogufo, il più saggio e rispettato tra tutti gli sciamani, chiamò a raccolta la sua gente. Egli aveva ricevuto in sogno un presagio dagli spiriti, ed era convinto che fosse ormai giunto il momento in cui i Clan si sarebbero conquistati la propria libertà. Tra i pitti del Nord, ormai distanti dagli Elfi a differenza delle tribù che abitavano le foreste del Sud,una sola famiglia rifiutò di seguire Saviogufo e fuggì nei boschi, sperando di raggiungere Elen Eressea in tempo per avvertire gli amati Elfi. Tuttavia, quando i pitti fedeli giunsero in città, la trovarono già assediata da Bruti e seguaci degli spiriti e, non sapendo che altro fare, si diressero verso Altamar, per chiedere l'aiuto della Regina e del suo sposo.
Nell'apprendere della caduta di Elen Eressea, Dàelin reagì con furia, e volle guidare l'esercito della Primavera per portare guerra e punizione ai ribelli. Fu Anarin a farlo desistere, pregandolo di non partire, di non cavalcare di nuovo in arme verso quel nord già sporco di sangue. La Tùiletar fece così dono agli sciamani e alla loro gente delle terre che oggi hanno il nome di Castelbruma e Altabrina, ma il ricordo della strage di Elen Eressea rimase per sempre come una cicatrice, e mai più vi fu amicizia tra le genti del Nord e i protetti dagli Elfi.
Gli eroici pitti che, per amore dei loro sovrani, marciarono giorno e notte verso Altamar, si ritrovarono senza più un luogo nel quale tornare. Essi si diedero allora il nome di
Della Via e scelsero di vivere come nomadi. Ancora oggi è possibile incontrarli, mentre si spostano di Principato in Principato.
La Primavera che sembrava senza fine era invece destinata ad incontrare un fato violento. Circa quattro secoli dopo la ribellione dei Pitti di Altabrina, il mare a nord ghiacciò, permettendo il passaggio di un nuovo popolo,
Uomini giunti
dal Mare, feroci, pesantemente armati, ed animati da una profonda sete di conquista. La loro avanzata colse gli Elfi alla sprovvista, e , senza più Elen Eressea a difendere i confini settentrionali, nulla poté arrestare l'inesorabile discesa dei conquistatori verso Altamar. Appena a nord della capitale degli Elfi, Dàelin riunì i guerrieri di Tùilenor, i cui ranghi erano ingrossati dai Pitti ancora fedeli, ma la potenza dei barbari ed il loro numero, accresciuto dalle tribù Brute, furono in grado di schiacciare anche l'ancestrale magia degli Antichi. Dàelin riparò entro le mura di Altamar con il suo popolo, ma nonostante la fiera resistenza, la città capitolò e fu terra di conquista, il trono di Anarin venne occupato dagli Uomini del Mare e gli Elfi furono costretti a fuggire, assieme a molti Pitti, ad Ovest, fra le acque di
Neenuvar.
La provincia occidentale di Neenuvar era da sempre, per gli Elfi, un luogo misterioso e proibito, dove un mare nemico rifletteva solo la morte del sole, quel rosso cupo e sfumato che indicibile tristezza recava all'animo degli antichi. Essi oltrepassavano le sue grandi foreste, nei cui recessi più bui vivevano creature potenti, antiche e volubili, unicamente per celebrare i riti funebri e consegnare i caduti all'avvolgente e freddo abbraccio dell'acqua. Ma quando Dàelin si trovò inseguito dagli spietati invasori del Nord, senza più altro luogo in cui rifugiarsi, decise, pur di salvarlo, di vincere la diffidenza del suo popolo e contro ogni vaticinio, contro gli spiriti e contro la paura condusse coraggiosamente Elfi e Pitti nell'occidente dove riposano i morti.
Gli Antichi sopravvissero, ma non furono mai più gli stessi. Forse per il ricordo della violenta morte, per l'incessante susseguirsi di tramonti su acque funeree o per l'inesorabile incombere di maledizioni vecchie di un'era, le fanciulle elfiche persero la capacità di generare la vita, sprofondando nella sterilità dell'inverno. Anarin se ne avvide, ma proprio quando tutto sembrava perduto, rimase incinta. Alla nascita del bambino, ella ebbe la tragica consapevolezza che sarebbe stato l'ultimo della propria stirpe, eppure questo fu uno dei pochi eventi lieti che sino ad allora avevano rischiarato quei giorni tanto bui: il fanciullo di stirpe reale venne dunque chiamato
Calemor, col significato di “Luce nell'Oscurità”.
Ma Dàelin non provò gioia nel vedere il sorriso di suo figlio. Egli era disperato per il fato degli Elfi e non voleva in alcun modo, quasi fosse una battaglia personale, arrendersi e lasciare che la sua gente fosse inghiottita dal tempo. Convocò così i più nobili e potenti tra gli Antichi e, dopo aver celebrato un proibito rituale di potere, li convinse ad unirsi a donne mortali per generare una nuove stirpe, quegli
Eredi,
Aryon nell’antica parlata, che avrebbero perpetuato nei secoli il retaggio degli Elfi. Dàelin, diffidente verso i Pitti dopo il tradimento di Elen Eressea, ebbe tre figli da una Principessa della Sabbia,
Sara dei Crisostomi. Il sangue del popolo della primavera sopravvisse così attraverso questi nuovi nati, ma gli Elfi dovettero pagare un prezzo altissimo e mai più furono in grado di invocare l'antica magia delle leggende.
Quando Anarin apprese che il suo sposo, forse in preda a vanaglorioso orgoglio, aveva tradito non solo lei ma tutte le più antiche leggi del mondo, fu sopraffatta da orrore e rabbia. Assieme all'infante Calemor fuggì nelle foreste, aiutata dal clan dei pitti
Della Selva, che avevano preso in odio Dàelin nel vedere i primi Eredi nascere da una donna delle sabbie. Il Re degli Elfi si gettò all'inseguimento di Anarin, sperando di poterla convincere che ogni sua azione era stata dettata solo dall'amore per le antiche genti. Quando finalmente la trovò, Anarin sembrò ascoltare le parole di colui che era stato suo compagno per più di mille inverni. Ordinò ai Pitti di ritirarsi e consegnò Calemor a Dàelin ma, quando questi tentò di abbracciarla, ella si gettò nelle acque di un fiume, dove la corrente rapì l'ultima Tùiletar delle Terre Spezzate.
La scomparsa della grande regina fu un'ulteriore dolorosa frustrazione per gli Elfi. Essi avrebbero certamente abbandonato ogni speranza, fino a dissolversi in una triste fine, se non fosse stato per il sostegno della prima generazione di Eredi. I nuovi nati si strinsero intorno ai loro immortali progenitori, mostrandogli che parte di ciò che era stato distrutto poteva essere ricostruito. Fondarono così una nuova città, di cui Sara dei Crisostomi fu la prima signora, e la chiamarono Andunelen, Stella dell'Ovest, per ricordare che, dopo la morte del sole, splendidi astri rischiarano il cielo.
Benché le Paludi del Pianto avessero ostacolato l’avanzata degli Uomini del Mare, le cui fila erano ingrossate dai traditori del Nord, di frequente piccoli gruppi di razziatori riuscivano ad oltrepassare i confini di Neenuvar. Fu durante una di queste incursioni che una banda di Bruti e Pitti fedeli agli spiriti si fece strada fino alla città orientale di Airenve. Gli Eredi ne difesero le mura con valore ma essi non erano preparati ad affrontare la forza e la ferocia degli invasori. Dàelin si precipitò in difesa della città, ma il sovrano non la avrebbe mai raggiunta in tempo se non fosse stato per l’aiuto dei pitti
Della Luna, che con audaci imboscate riuscirono a liberare la strada per il Signore di Neenuvar ed i suoi cavalieri. Il Re, con la sua guardia, caricò l'orda dei barbari e combatté con valore fino ad aprirsi un varco verso i cancelli di Airenve che, rimasto ormai solo, difese per una notte intera, dando così agli Eredi il tempo di preparare una sortita. Per lunghe ore Dàelin protesse i cancelli di Airenve e ogni volta che il nemico arretrava egli soffiava nel suo possente corno. Per sette volte se ne udì suono. La battaglia fu vinta, ma il leggendario Re degli Elfi rimase ucciso, sacrificandosi per salvare il popolo degli Eredi. Mai il richiamo di quel corno risuonerà un'ottava volta.
Il popolo rimase profondamente sconvolto dalla morte di Dàelin Elentàuron, colui che per gli Elfi ha molti nomi ma che gli Eredi chiamano solamente Padre. Tutte le genti di Neenuvar si radunarono sulle rive dell'Elennen, dove fu officiato il rito funebre. Si racconta però come le acque del lago rifiutarono di accogliere il corpo dell'antico eroe che infine venne bruciato, come mai era accaduto a qualcuno della sua gente.
In mancanza di figlie femmine fu Calemor a salire al trono di Neenuvar. Egli ribattezzò subito la città di Airenve in Rilmeren, scintillio dell'acciaio, in memoria del padre caduto per difenderla.
Tempo dopo, quando ormai gli Eredi avevano sollevato gli Elfi dal proprio sconforto, giunse voce a Neenuvar che un carismatico Principe di Meridia, Alessandro, avesse intenzione di riunire sotto il proprio dominio i regni divisi, diffondendo per tutta la penisola l’illuminata cultura del sud. Questi chiese udienza a Calemor, il quale vide in lui la possibilità di ridare pace alle terre martoriate dagli avidi Uomini del Mare, e gli promise l'appoggio del suo popolo. Divenuto Re, Alessandro mantenne fede ai suoi giuramenti e per cinquanta inverni guerra e razzie non toccarono le terre di Neenuvar. Ma, alla morte del Difensore degli Uomini, il suo regno non sopravvisse e si avviò violentemente verso la disgregazione. Fu in quegli anni tumultuosi che
Galdor Elentàuron, contravvenendo ad un ordine dello stesso Calemor, radunò intorno a se ciò che restava dell'esercito elfico e partì per un'ardita impresa: la riconquista di Altamar. Approfittando del caos scaturito dalle lotte per la successione, le truppe di Neenuvar colpirono all'improvviso, sbaragliando in breve ogni resistenza, liberando così la via per l'antica capitale. Temendo di veder risorgere il potere degli Elfi, quasi tutti i pretendenti al trono si unirono in una precaria tregua per stringere in assedio le mura di Altamar. Per cento giorni il capitano giunto da Andunelen e i suoi eroici compagni resistettero agli assalti, mentre da ovest non giungeva alcun rinforzo. Forse le staffette inviate a chiedere aiuto erano state catturate, o forse Calemor non provò pietà per chi aveva disobbedito ai suoi ordini. Quando ormai la città era sul punto di cadere, Galdor guidò i suoi uomini in una sortita disperata, quell'
ultima cavalcata degli Elfi che tante canzoni raccontano con cordoglio. In molti furono uccisi mentre con acciaio e magia lottavano per aprirsi un varco tra le fila nemiche, altri vennero stroncati dalle sibilanti frecce degli inseguitori, alcuni, infine, forse feriti troppo gravemente per continuare a cavalcare, smarrirono la via e non emersero mai più dai sentieri nascosti nelle foreste per i quali avevano scelto di fuggire. Di costoro si sussurra solamente che furono i primi tra i
Perduti, e gli Antichi non parlano mai del loro destino. Quando Galdor finalmente riuscì a raggiungere Neenuvar, solo qualche decina di sopravvissuti era ancora al suo fianco. Da quel momento i pochi Elfi rimasti presero ad isolarsi sempre più dalle vicende dei mortali.
Così, con l'infrangersi in soli cento giorni del regno degli Elentàuron e la morte di Alessandro, il difensore degli uomini, quelle che da allora vennero chiamate
Terre Spezzate precipitarono in una nuova epoca di guerra e barbarie nota come i
Secoli Bui.
Furono questi anni di tormento per Neenuvar, continuamente martoriata dalle razzie dei suoi rapaci vicini. Da sempre restio alla guerra, Calemor si avvide tuttavia che per la loro stessa sopravvivenza era necessario addestrare gli Eredi nelle arti della magia e delle armi in egual misura: nacquero così i
Mahtaren, la cui Accademia venne fondata a Rilmeren. Seguendo gli insegnamenti degli ultimi superstiti tra i grandi guerrieri elfici, i maghi guerrieri di Neenuvar divennero la milizia meglio addestrata nelle Terre Spezzate. Forti di una disciplina incrollabile e devoti alla difesa della loro terra, essi riuscirono a proteggerne i confini nel corso di impari battaglie in cui gli eredi compensarono il loro scarso numero con ordine e coraggio. Non di rado però queste incursioni erano in grado di travolgere ogni resistenza e mettere a sacco le terre delle acque. Cento e più ballate cantano dell'eroismo dei primi Mahtaren e del loro comandante,
Lothrilin Elensil, caduti combattendo il feroce invasore in inferiorità di uomini e armi; fu sicuramente grazie a loro che il popolo Neenuvaren sviluppò quei sentimenti di unità e volontà di rivincita che lo contraddistinguono ancora oggi.
Da sempre i
Druidi Pitti, riparati nel fitto delle foreste, innalzavano preghiere e riti di sangue a quella Madre Terra che gli Elfi avevano insegnato a difendere, temere e rispettare. Durante il corso dei Secoli Bui, già urtati dalle troppe battaglie, alcuni Eredi iniziarono a trovare insopportabile la cruda violenza delle antiche cerimonie.
Talim Mùilemir, aiutata dalla sua Casata e da molti pitti del clan
Della Madre, fondò così nei pressi Vinyamar la Volta dell'Armonia, un luogo di guarigione e raccoglimento, dove la devota erborista sperava di poter addolcire con la gentilezza tipica della sua gente gli aspetti più cruenti del culto della Terra. I seguaci dell'armonia presero il nome di
Kyermen, una parola elfica dal significato simile a preghiera. Desiderosa di diffondere la sua dottrina, e di ricucire le fratture con i Pitti del Nord, Talim inviò messaggeri ad Altabrina, invitando i seguaci degli spiriti a giungere a Vinyamar per celebrare il solstizio d'estate, nella speranza di riunirli finalmente ai fedeli della Terra . Le agili e veloci navi giunte dalla terra dei ghiacci arrivarono il giorno stabilito, ma esse non recavano sciamani in cerca di conoscenza bensì guerrieri affamati di bottino. I predoni assaltarono all'improvviso i Kyermen riuniti in preghiera, con una ferocia tale che il clan Della Madre fu quasi sterminato e le sue donne rapite e condotte ad Altabrina. Quando i Mahtaren giunsero sul luogo ormai la battaglia era conclusa e i crudeli traditori del nord già fuggiti lontano. I fedeli della Madre Terra tornarono con vigore ai riti del passato, rivolgendosi ai druidi del clan Della Selva per ricevere guida e conforto. Le
rovine della Volta dell'Armonia rimangono tutt'ora come bruna cicatrice, un tetro monito che ricorda alle genti quanto bontà e tolleranza sembrino non avere posto nelle Terre Spezzate. Eppure, ancora oggi, sotto la guida della famiglia Mùilemir, un piccolo numero di coraggiosi fedeli ha preso a riunirsi sotto la Volta in rovina, ed essi si chiamano con l'antico nome che gli Elfi davano ai sacerdoti,
Kyermen, una preghiera per un domani migliore.
A nulla però servirono il valore dei Mahtaren o le antiche cerimonie dei Druidi quando la cavalleria pesante di Valleterna, forte di una nuova arrogante religione che si era andata diffondendo in pochi anni, si presentò ai confini di Neenuvar. Calemor comprese che il proprio esercito non avrebbe retto allo scontro, e parlamentò con gli inviati di Castamante. Il Profeta si offrì di risparmiare la terre delle acque a condizione che venisse pagato un pesantissimo tributo: tutti gli eredi che avevano appreso i segreti della forgia Elfica si sarebbero dovuti trasferire a Valleterna e qui tramandare la loro conoscenza ai seguaci del Castamante. Calemor, temendo che Neenuvar fosse conquistata, ignorò il parere contrario di tutte le nobili Case di Eredi e accettò le condizioni del profeta. Mentre i cavalieri dai vessilli bianchi e rossi galoppavano verso casa trascinando con loro i maestri della forgia, subirono numerose imboscate da un manipolo di ribelli che non accettava di abbandonare alla deportazione così tanti figli di Neenuvar. Essi erano i briganti di
Falce della Luna, armati e protetti da più di un Lassilantar. Alla fine i Mahtaren riuscirono a catturare il fuorilegge e, tra le lacrime del popolo, lo portarono da Calemor perché fosse eseguita la condanna a morte voluta dal signore di Valleterna. Falce della Luna venne così impiccato ma, prima che le guardie potessero recuperarlo, il suo corpo scomparve dal ramo al quale era appeso. Da allora si mormora che, ogni qual volta Neenuvar sarà schiacciata dallo straniero oppressore, il brigante Falce della Luna ritornerà.
La nuova fede, che come ogni altro credo degli stranieri non aveva portato altro che sofferenza, non riuscì ad attecchire tra le genti di Neenuvar, saldamente fedeli al culto della Terra. Nonostante questo Valleterna rispettò gli accordi presi con Calemor e gli anni del suo dominio furono un periodo relativamente tranquillo per il principato delle acque ad eccezione della terribile peste equina che lo colpì assieme al resto delle Terre Spezzate. Nemmeno la magia degli Elfi poté nulla contro il tremendo male, ma per fortuna la scarsa concentrazione di abitanti di Neenuvar limitò di molto il numero delle vittime. Il nero morbo aveva messo in ginocchio tutte le Terre Spezzate, ma ad uscirne seriamente compromessa fu soltanto l’egemonia valniana, che aveva perso definitivamente il suo punto di forza.
Quando ormai il Principato si era ripreso dall’epidemia, Calemor ricevette una proposta dai D’Urso di Castelbruma che non poteva lasciarlo indifferente: se Neenuvar avesse aiutato i fieri Brumiani nella conquista delle terre valniane e nella restaurazione degli antichi culti, i Neenuvaren avrebbero riavuto la città di Dimora, quella che un tempo era Altamar, e con essa il trono dei propri avi. Lunga fu l’esitazione di Calemor prima di prendere una decisione, poiché la richiesta d’alleanza era giunta da quegli stessi Uomini del Mare e da quei seguaci degli Spiriti che tanto dolore e morte avevano causato al suo popolo. Il signore di Neenuvar avrebbe voluto rifiutare l'alleanza, ma le sue parole non riuscirono a smorzare l'entusiasmo degli Eredi, sopratutto dei fieri Elensil, che da secoli sognavano di tornare nella perduta Altamar. Infine giunse alla conclusione che probabilmente gli odierni Brumiani non ricordavano neppure la tragica vicenda che per gli Elfi era dolorosamente impressa nella memoria. Così, forte dell’alleanza con Altabrina, oltre che di quella con Neenuvar, Castelbruma marciò verso Dimora, supportata dalle truppe di Calemor. Nei territori di Corona del Re i Neenuvaren erano impegnati come retroguardia, a sud del Mar Bianco, mentre Abelardo D’Urso prendeva d’assalto la capitale. Quando Calemor e il suo contingente, ormai vittoriosi, giunsero nei pressi della piana di Dimora e chiesero di poter procedere, il passo fu loro sbarrato dalle guardie brinniche al servizio dei D'Urso. Prima che il Nentar potesse dare qualsiasi ordine, i Mahtaren degli Elensil si fiondarono sui traditori, trucidandoli sul posto. Per quanto sconvolto dall'inganno di Abelardo, Calemor rimase disgustato dal comportamento dei suoi soldati ed ordinò la ritirata verso Neenuvar. I guerrieri giunti da Rilmeren non ascoltarono però l'ordine del loro signore e, colmi di odio, marciarono in armi verso Dimora e verso la morte.
Il dominio di Castelbruma, per quanto breve, fu doloroso per Neenuvar. Se i D'Urso non riscossero mai pesanti tributi, forse per compensare Calemor della perdita di Altamar, gli odiati razziatori brinnici presero d'assalto la terra delle acque con rinnovato vigore, ora che il suo esercito era stato provato dalla guerra. Con i Mahtaren impossibilitati a combattere, molto spesso erano solo guardavia o fuorilegge a difendere il popolo dalle incursioni dei barbari. Mai così spesso come in quegli anni si udì il grido
Falce della Luna è tornato ! Forse fu proprio il leggendario brigante colui che riuscì, in una sola notte, a sterminare con l’inganno i trecento guerrieri di Artiglio di Falco, un antenato di Falcobrando, l’attuale principe di Altabrina.
Il destino ripagò i traditori con l’amaro prezzo della sconfitta, e l’alleanza di Brumiani e Brinnici non riuscì a tenere a lungo le redini di territori sempre più riottosi e disgregati. Così, quando Adriano dei Gastaldi chiese l’appoggio al Principato delle Acque per rovesciare i Brumiani e riunire nuovamente le Terre Spezzate, proponendo di seguire i principi cui Alessandro stesso si era ispirato e promettendo che tutti i popoli delle Terre Spezzate avrebbero potuto continuare a praticare il loro vecchio credo, Calemor non ebbe un istante di esitazione. Colse quindi l’opportunità di rimediare al proprio ingenuo errore e concesse il proprio aiuto ai futuri Re. Le guarnigioni nelle province a sud di Dimora vennero devastate dalla furiosa milizia Neenuvaren e i Gastaldi sedettero sul trono.
Nelle tre generazioni in cui i nuovi Re hanno seduto sul trono di Dimora, I Neenuvaren hanno avuto modo di riflettere a lungo sulla loro scelta di appoggiare i Gastaldi. La potente Ecclesia della Tetrade è rinata ancora più forte. Tale istituzione, con i suoi palesi propositi di cancellare gli antichi culti, è influente e pericolosa, oltre che troppo vicina al Re. La pace precaria che ha regnato negli ultimi anni sembra sul punto di infrangersi. I detestati brinnici hanno ripreso a solcare i mari con arroganza in cerca di nuove razzie. Persino l'immortale Calemor sembra ogni giorno più distante dalla sua gente.
Eppure i Neenuvaren sono pronti, dopo secoli di sofferenza, a guardare finalmente verso il futuro
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[1] "
- ^ sostiere Ser Pinco Pallino, cavaliere valniano