Dei Nivicara
Usi e costumi dei probabili antenati della razza niviana
I
Nivicara di oggi sono un popolo estremamente pacifico e altruista. Seguono uno stile di vita nomade, fatto di raccolta, caccia e pesca, improntato all’armonia con la natura e al perseguimento della virtù per come loro la intendono: cercano l’intuizione e la consapevolezza frutto dell’esperienza, rifuggono da eccessive comodità e dalle arti più complesse, come la letteratura, la forgia e soprattutto la magia, vero abominio per loro, perché "tenta gli uomini di raggiungere risultati forzando gli eventi anziché sapendoli interpretare". La loro lingua sarebbe comunque "molto più complessa della nostra" e probabilmente tonale, per cui la pronuncia (gli accenti e la scansione) di un fonema ne cambierebbe il significato.
Usano vesti ampie e comode, spesso lunghe tuniche, in colori scuri e opachi, come nero, grigio e marrone. In testa, a seconda del rango e del mestiere, portano cappelli di paglia di forma conica, fasce variopinte o anche elmi lavorati e vistosi copricapi piumati. Tutti hanno un collare adorno di piume, fasce colorate incrociate sul petto, in vita e ai gomiti, nonché uno striscione di pelle o stoffa appeso alla cintura, sul davanti, decorato con una conchiglia a forma di ventaglio e strani ghirigori. Usano truccarsi in volto con segni che per loro hanno significato mistico.
Sono divisi in tribù-carovane, le
Unmani, e la loro società ha un sistema di caste, ereditate per nascita. I
Visarga, che portano fasce di colore giallo, sono Cacciatori e guide; i
Dasia, che portano fasce di colore blu, sono sacerdoti e guerrieri, gli unici titolati a dare consigli sulla via della conoscenza e a custodire pochi frammenti di "sacre scritture" su cui si fonda la loro religione; i
Narayama, che portano fasce di colore rosso, sono i lavoratori e gli artigiani: raccolgono, coltivano, servono.. conoscono anche la medicina e la raffinazione dei reagenti. Hanno un istituto simile al matrimonio ma al contempo sono promiscui e bisessuali, in più i
Dasia per tradizione hanno un "compagno per la vita", il loro
Dvaita, per cui la loro è una via "a due" e se uno dovesse morire anche all’altro è richiesto di porre fine alla propria vita.
Ogni
Unmani elegge democraticamente il suo capo, il
Vasu, che è quasi sempre un
Visarga "perché sono quelli che sanno vedere le strade" e percorre ogni anno un cammino sostanzialmente prestabilito all’interno della loro terra nel Sud del
Nuovo Mondo, che chiamano
Nisiva, lungo il quale, appunto, cacciano e raccolgono. Inoltre, in un certo senso, "adottano" delle aree ricche di risorse, come boschi e pascoli, di cui a ogni passaggio prendono ciò che occorre occupandosi di manutenerle (per esempio potando gli alberi o pulendo il sottobosco). Qui e là pattuglie di cacciatori-raccoglitori si spingono al di fuori del percorso, setacciandone le frange, mentre i
Dasia difendono la tribù dalle frequenti incursioni di Orchi e Troll. I percorsi di tutte le
Unmani sono tracciati per incontrarsi due volte l’anno ai piedi delle rovine della "città proibita" di
Avasta, dove si tengono "quattro sacri concili" tra le Caste, secondo un complesso rituale, per dirimere controversie e prendere decisioni. In queste occasioni vengono anche eletti (quando la carica è vacante) i "capi casta" per tutto il popolo e il "capo dei capi", guida suprema, il
Vasu-deva.
Credono che all’origine del mondo due divinità,
Ramani, rappresentativo dell’oscurità e della scaltrezza, e
Asuna, rappresentativo della luce e della saggezza, dialogassero in un gioco che è rimasto sacro per il popolo: uno inizia dicendo "io sono..." qualcosa, e l’altro risponde con qualcosa che sovrasta la precedente in connessione logica; ad esempio a "io sono il fuoco che brucia" si potrebbe rispondere "io sono la pioggia che spegne il fuoco" e ancora "io sono il vento che spazza via le nubi di pioggia" ...e così via; si narra che il gioco finì quando Asuna dichiarò "io sono la speranza" vincendo la partita e a quel punto il mondo era creato. Le loro leggende dicono che in un non troppo lontano passato il popolo fosse stanziale in città di pietra e vivesse "secondo Ramani", sotto la guida da una genìa di stregoni, con a capo il "Re dei Re" con
Avasta, oggi "città proibita", come capitale. Furono tempi violenti e turbolenti, poiché gli stregoni governavano con il pugno di ferro e indulgevano in angherie verso la gente umile, finché non giunse il profeta
Inveda a parlare della "via di Asuna", sicché gli stregoni furono rovesciati ed esiliati (e probabilmente sono quei fuggiaschi gli antenati dei nostri Niviani) e il popolo si convertì alle usanze di oggi, inclusa la vita nomade e il sistema di caste.
Da allora un
Nivicara che manifesta il dono della magia e lo usa pubblicamente per ottenere uno scopo viene bollato come
Ramaduna ed esiliato. In contrasto con l’antichità non versano il sangue e non prevedono pene violente, l’esilio è la punizione, che espone il singolo ai pericoli delle terre selvagge senza il supporto della tribù. I
Ramaduna frequentemente impazziscono, un po’ per aver soppresso a lungo la magia dentro di loro, un po’ per la durezza della vita in esilio, ma forse anche per lo spirito aleggiante dell’antico Re, che, si dice, parli nella loro testa. Spesso si raccolgano in gruppi per sopravvivere e alcuni di essi diventano briganti e razziatori. Il loro credo, blasfemo per i
nivicara, è "Darsana Deva Ksetra", che si può tradurre più o meno in "lo scettro è del Re dei Re".
La via di Asuna privilegia appunto l’intuizione e la ricerca della coscienza delle cose, ciò che la vita mette sul proprio percorso, il "cerchio", va compreso e interpretato per trovare l’adattamento più saggio. Seguire la via tracciata dal profeta è "Inveda", come il suo nome. I
Dasia sono le guide spirituali, gli unici titolati a fornire risposte, e credono che tracciare speciali simboli e toccare particolari punti del corpo aiuti ad acuire la coscienza. Al di fuori di ciò, appunto, simboli e scrittura sono rifuggiti e quasi fonte di fastidio, come il parlare troppo e pronunciare senza motivo il nome di
Asuna; "il silenzio è sempre Inveda" dicono, "la menzogna mai" dunque per loro è lecito tenersi un segreto scomodo ma non dire il falso. Volendo sintetizzare la loro "via virtuosa", durante il proprio "cerchio" bisogna evitare di cadere negli inganni di
Ramani (pena diventare
Ramaduna) e cercare costantemente la luce dell’intelletto di
Asuna che penetra il velo della menzogna.
Autore
Antiloco da Rocca d'Avorio, mago merida al seguito della
Spedizione Palladiana