Un porto sicuro

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Dal diario di Elderico il viaggiatore
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Dal diario di Elderico il viaggiatore


Non esistono porti sicuri. Un porto non è altro che un luogo nel quale inevitabilmente dobbiamo tornare per immergerci nuovamente in un mondo di umana banalità. Quante volte ho visto l’equipaggio gridare di giubilo in vista della terra, quante volte avrei voluto condividere la gioia che essi provano quando si approssima l’ allontanarsi, anche solo per una manciata di giorni, dagli oscuri e ignoti abissi.
L’incertezza è qualcosa di inevitabile quando la sola cosa che ti separa dalla morte è una fragile asse di legno che un semplice capriccio del cielo può distruggere.
Ignoto, incerto, oscuro. Così essi lo appellano e non si può certo dire che la loro descrizione sia inesatta. Ma a cosa porta l’ignoto, se non a scoperta? A cosa trae l’ incerto, se non a avventura? E a cosa conduce infine l’oscurità, se non a osservare la realtà con occhi differenti da quelli che l’uomo, nella sua superficialità, utilizza normalmente?
Ho visto moltissimi porti in questi anni e con essi la civiltà che essi rappresentano. Ho visto i freddi golfi del nord, dove il gelo delle acque può uccidere un uomo al pari di una spada e gli uomini vestiti di pellicce che li vivono sono degni abitanti di un tale, inospitale, luogo. Al pari ho scoperto con terrore quanto possa essere falsa la voce mielosa di un mercante del sud e come sia facile lasciarsi ingannare quando ci si lascia cullare dal tepore della brezza, sorseggiando uno dei vini speziati che essi sono usi offrire alle loro prede. Ho navigato a lungo sino a giungere a luoghi che altro non sono che l’esempio più grande della degradazione umana, che vi si manifesta in ogni suo aspetto. Le prostitute monche, il fetido odore dei corpi, le lame dei pugnali che balenano nella notte, tutto mosso da un dio di metallo la cui liturgia è il suono meccanico del punzone di un conio. In altri lidi invece è l’orgoglio stesso degli abitanti che gli impedisce di essere veramente umani, accecati come sono da una luce che solo essi, nella loro superbia, possono vedere.
Ma qui, nel mare, tutto questo non esiste.
Solo lo sciabordare delle onde contro la prora, la dolce canzone del vento che trasporta la nave nella sua melodia e il piatto orizzonte che con la sua monotonia ci conduce a interrogarci su noi stessi. Ad un tratto poi il cielo si fa oscuro, il fortunale si approssima e la manifestazione tangibile del carattere selvaggio di questo luogo ci riporta alla realtà, ci riporta all’ azione. Lo scrosciare della pioggia e il balenare dei lampi che squarciano il cielo ci fanno sentire vivi, come mai potranno esserlo coloro che vivono su una piattaforma di terra.
I veri perduti, in fin dei conti, sono loro.

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Elderico il viaggiatore