Racconti di nonna Clotsuinda

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Se, durante la prima serata d'autunno, aveste bussato alla porta della casa di Nonna Clotsuinda avreste potuto ascoltare la storia che sto per narrarvi.

La Nonna sedeva sulla sua sedia a dondolo in legno: l'unico lusso che si fosse mai concessa; avvolta in una coperta di lana pesante, le mani intente a cucire, mentre la sua voce ci guidava per Castelbruma, o a conoscere eredi e niviani, antichi re e regine, astuti mercanti o marinai.

Noi fratelli stavamo rintanati nell'unico lettone: la vicinanza ci faceva dimenticare il freddo, mentre la storia aiutava a non sentire i nostri piccoli ventri che brontolavano.
Castelbruma non è una terra ricca e noi bambini eravamo ben sette, quindi raramente il pasto serale comprendeva più di qualche cucchiaio di minestra.

Ed ora forse, proprio come me quando ero piccola, vi starete chiedendo "ma quando inizia questa storia??". Eccovi accontentati. La racconterò con le stesse parole della Nonna.

"C'era una volta un bambino. Un piccolo Bruto, proprio come voi: forte, la sua pelle era bruna come il mogano, i capelli e gli occhi neri, la placca già ben sviluppata. Viveva con i suoi genitori, felice e ben nutrito. E questo bambino aveva un cucciolo. Un lupacchiotto, salvato dalla fame quello stesso inverno che lo seguiva ovunque andasse.

Tutto sembrava perfetto nella vita di quel bambino; ma stavano giungendo i valniani sulle nostre terre!
Voi avete mai visto un Valniano? No, per fortuna! Ve lo descriverò io: ricoprono le loro
nefandezze con tuniche bianche e fiori rossi, chiamano eretico tutto ciò che non conoscono..gli uomini si atteggiano come donnette e nel tentativo di seguire quella che loro chiamano "via virtuosa" conducono una vita priva di forti emozioni, entusiasmi, amori o intensità.
I vili valniani misero Castelbruma in ginocchio. Distrussero campi, villaggi, luoghi di culto degli Spiriti.
Chi non morì, si trovò sotto il pesante giogo Valniano: l'odio bruciava nelle menti degli uomini e delle donne brumiane, ma la forza per ribellarsi ancora mancava.

Il bambino si trovò solo: nella guerra i suoi genitori erano morti ed ora in una terra devastata e invasa dagli stranieri, gli era rimasto unicamente il suo cucciolo.
Non più una casa o qualcuno che si prendesse cura di lui.
Così il bambino decise di mettersi in viaggio: sapeva dove andare; a Montecastello!
Molto gli era stato detto sulla nostra città, ma soprattutto sapeva che qui nessuno mai rifiuta l'ospitalità ad uno straniero.

Così, sistemandosi il mantello attorno al corpo, il coltello di suo padre nel fodero, e chiamato il lupacchiotto, il ragazzino si avventurò nella direzione di Montecastello.

Ma dal suo paese a Montecastello, molte sono le miglia.
E Castelbruma non è un luogo che un bambino e il suo cucciolo possano girare tranquillamente da soli.
Briganti, orchi, goblin e peggio ancora, truppe valniane che cercavano solo un qualunque pretesto per imporre la loro autorità e condannare chiunque come eretico. Il bambino camminava di notte per sfuggire ai paladini, di giorno riposava in alberi cavi o rifugi di fortuna.
L'estate volgeva al termine ed ancora la temperatura restava abbastanza mite..le serate erano ancora limpide e la Bruma tardava ad arrivare.

Così il bambino, seguendo le stelle e la luna, cibandosi dei frutti del bosco, nascondendosi di giorno e camminando di notte riuscì ad avvicinarsi a Montecastello.
Il cucciolotto, addestrato fin dai primi mesi a cacciare, riusciva a procurarsi il necessario a sopravvivere.
Nei sogni, spesso il bambino rivedeva i suoi genitori: gli apparivano come erano stati in vita, felici e prosperi e sempre gli offrivano delle raccomandazioni sulla strada da seguire e insistevano soprattutto affinché viaggiasse solo di notte. A volte, quando era molto affamato, i genitori gli davano consigli su dove trovare il cibo: qualche scorta di frutta secca o semi messa da parte dai piccoli roditori, i resti recenti di qualche animale, bacche..sempre al suo risveglio, il bambino seguiva ciò che in sogno gli era stato detto e proprio nei punti indicati trovava cibo, riparo o legna da ardere per scaldarsi.

Così il piccolo seguendo i suggerimenti degli Spiriti che gli apparivano in sogno, giunse ad un giorno e mezzo di cammino da Montecastello: era quasi l'alba, ma il ragazzo si fermò ad osservare la rocca dei Portalupo.
Ormai la stanchezza lo pervadeva, ma la tentazione di porre fine alle sue tribolazioni con un ultimo sforzo si faceva grande.

Preso dall'impazienza, decise di continuare lungo il cammino; dimenticandosi gli ammonimenti dei genitori, proseguì per la sua strada, vedendo Montecastello farsi via via più vicina, con la promessa di ospitalità e magari, perchè no, di una nuova famiglia che l'avrebbe accolto.
Perso in queste fantasticherie, procedeva spedito, senza quasi accorgersi di aver trascorso l'intera giornata camminando.
Ahimè, questa non fu la sua unica distrazione.

Nella luce morente del tramonto non vide la truppa di soldati valniani che stava perlustrando il bosco in cerca di eretici da bruciare.
I soldati, erano di malumore: la sera prima avevano banchettato copiosamente con vino e cacciagione, ma quando il sacerdote che li accompagnava li aveva scoperti ubriachi e satolli, aveva parlato con il loro capitano.

Sullo sprone del monaco, il loro comandante li aveva obbligati a perlustrare i boschi in cerca di empietà ed eretici, così da riparare alla nottata di sollazzi e tornare sulla via virtuosa.

Forse furono gli effetti del vino della notte precedente, oppure l'estremo desiderio di piacere ai Quattro e rientrare nelle loro grazie ecco che i soldati vedendo il piccolo bruto e il suo lupo, li scambiarono per quelle creature brinniche, metà uomo e metà bestia, che l'ecclesia condanna come la massima empietà.
Senza fermarsi a riflettere e senza alcuna pietà, li trucidarono.

Solo quando la loro furia si placò si resero conto di ciò che avevano fatto: l'orrida belva era in realtà un cucciolo di lupo, e la creatura che l'accompagnava, solo un bambino bruto inselvatichito e denutrito da settimane di cammino e paure nella foresta.

Ma già il sole calava e la prima Bruma autunnale allungava le sue soffici dita su Montecastello.
Gli incauti Valniani, nulla sapevano della Bruma: si erano avventurati per le campagne, restando al di là dell'abitato oltre il crepuscolo, come degli stolti.
In pochi attimi, lembi di nebbia ovattata li avvolsero ed un silenzio pesante calò sulle campagne intorno a Montecastello.

La paura colse i soldati: ciascuno di loro non riusciva a vedere i compagni, posti a meno di un braccio di distanza..i più non avevano nemmeno idea della direzione da prendere per tornare a Montecastello.
Nella bruma, si percepivano solo il tintinnio delle cotte di maglia e il battito del cuore di ognuno.

In quel momento, dai corpi orrendamente mutilati delle piccole vittime dei soldati, due Spiriti si levarono: insieme, bambino e lupo, gridarono la loro vendetta.

Un ululato spettrale e un grido di battaglia brumiano si levarono nel silenzio nebbioso: i soldati, sentirono brividi gelidi lungo la schiena e sguainarono le spade; fauci fantasma si serravano sulle loro caviglie, piccole mani infantili armate di coltello li incalzavano,risate e ringhi profondi parevano giungere da ogni punto della foresta.
Presto la truppa cedette al panico ed al caos più totale.

Il giorno dopo, al mattino, quando la guarnigione valniana in cerca dei soldati dispersi giunse nella zona del massacro, trovò un solo uomo che ancora respirava.
Egli con l'ultimo alito di vita, raccontò quanto accaduto la sera precedente.
L'intera truppa si era uccisa a vicenda: a testimoniarlo i corpi smembrati di ogni soldato, gli spadoni, le asce e le lance fabbricate a Vesta, avevano tolto la vita a più di venti valniani.
A nulla le armature e gli elmi erano valsi contro la sete di vendetta degli Spiriti, che avevano confuso, deriso e aizzato ognuno degli uomini il proprio compagno d’arme, paladino contro paladino, scudiero contro scudiero, si erano gettati uno contro l'altro uccidendosi brutalmente così come avevano trucidato il bimbo e il lupo, i cui corpi giacevano ancora al centro del battaglia.

In preda al furore lo sciocco valniano al comando della guarnigione, fece ricomporre i corpi dei suoi soldati, mentre abbandonò senza esequie il piccolo bruto e la sua bestiola.

Così ancora i loro Spiriti non hanno pace.
Ascoltate, la nebbia è calata su Montecastello: sentirete l'ululato del lupo i suoi ringhi ed uggiolii...la risata del bambino, le sue urla di terrore e di vendetta.

Ancora oggi, il bimbo, di cui nessuno sa il nome e il suo lupo vagano, durante la prima notte d'autunno per le campagne di Montecastello, cercando di raggiungere la dimora dei Portalupo.
Si narra che non sia saggio per un valniano, avventurarsi in questa notte per il bosco o la piana: gli Spiriti non hanno placato la loro sete di vendetta, e finché non raggiungeranno Montecastello, la strada non sarà mai sicura per gli stranieri.

Tuttavia, potrebbe capitarvi ciò che è successo a me, quando sentii questa storia la prima volta: incuriosita, mi avventurai per le campagne al crepuscolo della prima notte d'autunno. Ero giovane e sciocca, me ne rendo conto ora e mi trovavo a poche centinaia di braccia dalla rocca, la bruma più spessa che mai attorno a me, quando udii dei singhiozzi.
Seguendoli, giunsi sul limitare del bosco, dove vidi un bambino, lacero e denutrito, piangeva tutte le sue lacrime, il visetto sporco rivolto verso la dimora dei Portalupo...mentre un lupacchiotto dall'aria triste stava accucciato ai suoi piedi.
Mi aveva vista, ed io conoscevo la sua storia: pochi passi ed egli e il cucciolotto avrebbero avuto la pace che tanto agognavano.

"Bimbo, sei arrivato… perchè non entri? Questa è Montecastello.."

"non posso! Mamma e papà mi hanno detto che devo restare: le tribolazioni di Castelbruma non sono finite e sempre ci sarà da guardarsi dallo straniero e non sempre sarà un Valniano.
Resterò..per ricordarvi che i morti devono essere seppelliti, gli Spiriti placati e gli Invasori scacciati.
Per Castelbruma, non ho potuto dare la vita, ma rinuncerò alla pace eterna per ricordare a tutti i suoi abitanti che nulla conta di più della nostra terra!Vai, Clotsuinda, racconta la mia storia!"

Ora, mentre tendete l'orecchio e sentite l'ululato del lupo o i passi del bimbo, ricordate: nulla conta
più della nostra Terra.

Autore
Teodolinda da Montecastello