La Lama di Canuto

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Questa storia inizia pochi mesi dopo la fine della Guerra dei Tre Re: stavo seguendo il Dono di Alessandro da Roccamagna a Porta Scirocco quando un orco sbucò dalla vegetazione, mi vide ed inizio ad inseguirmi; provai a sfuggirgli, urlai per chiedere aiuto ma la bestia guadagnava rapidamente terreno. Pensai che la mia ora fosse giunta quando vidi innanzi a me giungere un guerriero bardato con una pesante armatura; questi ingaggiò l’orco: la lama della bestia colpì due volte la gamba del milite e ne uscì del sangue, ma il guerriero disarmò l’orco con un colpo al polso e lo finì in breve.
L’uomo, avvolto in un mantello rosso ricamato con uno stemma raffigurante un’armatura, si mise in ginocchio e iniziò una preghiera alla Tetrade: in breve la sua ferita si richiuse, si alzò e si presentò come il Vescovo Carleone Nardovino. Proseguimmo insieme verso Porta Scirocco e lui mi raccontò la sua storia, mi disse che oltre vent’anni prima, quando i suoi capelli non erano ancora grigi, aveva trovato una pergamena tra i testi della sua famiglia nella quale veniva narrata la vita di un suo antenato, Saffiro Nardovino, il quale possedeva un’arma benedetta dai Quattro, chiamata Lama di Canuto.
Carleone decise allora di ritrovare questa spada, di cui non se ne era più avuta notizia, e pensò di recarsi a Vesta per cercare nella grande biblioteca; indossò la sua armatura ed il mantello della sua famiglia, prese la spada e lo scudo, e lasciò il castello di suo padre.
Carleone si stava dirigendo verso la porta ovest di Albaridia, da dove parte la strada del Golfo, ma vide tra la folla un uomo, un uomo bardato con un'armatura, una spada al fianco e sul cui scudo spiccava il simbolo dei Nardovino: nonostante l’elmo celasse il volto dello sconosciuto Carleone era certo di essere fissato; si mosse verso l’estraneo ma questi era scomparso.
Il paladino lo cercò per le strade di Albaridia ma ogni volta che lo vedeva questi rapidamente spariva; Carleone infine lo vide dirigersi verso i moli ai quali era ormeggiata una sola nave, chiamata “Fedele”.
Carleone salì sulla nave e chiese ai mozzi se avessero imbarcato un uomo in armatura; questi risposero negativamente e mandarono a chiamare il capitano. Il paladino decise che dopo aver parlato con il capitano sarebbe sceso ma quando vide che questi portava un simbolo sacro cambiò idea e si imbarcò sulla nave.
La nave salpò, diretta verso Irradia; la navigazione proseguì tranquilla per la prima settimana, ma sul finire dell’ottavo giorno la “Fedele” venne assalita da una piccola imbarcazione di pirati: grazie al coraggio di Carleone questi furono sconfitti e messi in fuga.
Giunti ad Irradia Carleone vide nuovamente lo straniero, che questa volta non portava l’elmo: Carleone aveva già visto quel volto, l’aveva già visto disegnato nella pergamena letta pochi giorni prima, era il volto di Saffiro Nardovino. Il paladino rincorse il suo avo per chiedergli della Lama di Canuto ma lo perse di vista alla porta nord della città e si incamminò lungo la Via Meridiana, diretto a Lisandria, dove trovò una pestilenza ed aiutò i sacerdoti presenti a sanare i malati.
A Lisandria Carleone rivide Saffiro e lo perse nuovamente ai cancelli che conducono a Tabbia; si mosse quindi verso la città Venale e sulla strada protesse dei mercanti da un attacco di briganti.
Continuò a seguire il suo antenato e giunse a Sentinella, a Litoranea, a Capo d’Alba da dove si reimbarcò per Ambra ed in ogni luogo egli portò la rettitudine salvando uomini onesti e combattendo briganti e mostri.
I suoi viaggi durarono anni e non tornò mai alla sua dimora e mai riuscì a parlare a Saffiro, mai riuscì a chiedergli della Lama di Canuto.
Carleone era a Castrum Fidei quando i non morti attaccarono, era a Monfiore quando Brandilione diffondeva le sue eresie, era a Corona quando Spaccacrani terrorizzava i contadini, era a Roccamagna a proteggere i deboli da Strazzabosco e dal Re dei Goblin, era nell’Oltrespina e nei Campi Plachi quando si concluse la guerra dei Tre Re ed in cento altri posti quando alla gente serviva un campione, un eroe.

Io ed il Vescovo entrammo a Porta Scirocco e gli chiesi se avesse capito alla fine che arma fosse la Lama di Canuto ed egli mi sorrise dicendomi che l’aveva compreso ma si rifiutò di spiegarmelo.
Giunti nei pressi di una locanda vidi un uomo in armatura in lontananza che ci fissava; indicai al mio compagno quell’uomo e Carleone mi salutò, dicendo che ora le nostre strade si sarebbero separate, ma che ci saremmo rivisti quando avessi capito cosa fosse una Lama di Canuto.

Passarono mesi, mesi di quiete, quiete distrutte dalle Guerre Ashai; poche decadi fa mi capitò di errare nei territori devastati dello Scirocchese e mi imbattei in un villaggio che sembrava non essere stato toccato dalla guerra; parlai con il capo del villaggio, un vecchio artefice; questi mi disse che un giorno una pattuglia di cinque Ashai attaccò il villaggio ma un loro ospite, un guerriero con un mantello rosso ricamato con un uomo in armatura, uccise le bestie venendo però ferito mortalmente. I contadini non conoscevano il nome del soldato, quindi la lapide sopra la sua tomba non portava nessuna iscrizione.

Presi un martello ed uno scalpello, sentivo di dovergli almeno questo, ma prima di vibrare il primo colpo improvvisamente capii che genere di arma era una “Lama di Canuto”; incisi queste parole:



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Gufotetro del Clan del Gufo