La Grande Mischia

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Profondo, come tuono e tamburo, suonò il corno.

Il cavaliere scattò in avanti, spezzando con passi pesanti l'erba gravida di rugiada, per portarsi nel centro della radura. Intorno a lui cominciarono a balenare i primi fendenti, le prime frecce, il primo sangue. Non se ne curò, era stato ben addestrato, in quello che ora è polvere ma un tempo fu l'imprendibile avamposto di Valleterna. Era stato addestrato, sapeva cosa fare. Deviò con lo scudo il possente colpo di un barbaro dei ghiacci, girò su se stesso e con un rapido, elegante affondo il suo brando squarciò la gamba del selvaggio guerriero. Non si soffermò neppure per l'attimo di un soffio, riprese la sua corsa, non poteva permettersi di esitare, di assaporare un poco di aria gelida nei polmoni. Era la mischia.
Saltò di lato, poco prima che un'enorme alabarda ferisse il suolo. Fronteggiò il suo avversario, doveva essere un combattente della Bruma. Con un veloce gioco di polso indirizzò la spada verso il braccio del nemico, ferendolo in profondità. Con un gemito di dolore, l'armigero della torre gettò a terra la sua arma, ed il cavaliere vide i suoi occhi riempirsi d'odio e fiele. Lo finì con due rapidi fendenti, prima che potesse armarsi di nuovo.
Un suono secco, ed il suo scudo andava in frantumi.

Il Bruto sollevò il suo maglio, mentre schegge di legno ferito si lanciavano verso il terreno, poi lo abbattè nuovamente con rabbia, scagliando quel povero Valniano a terra, nel frastuono di ossa spezzate. Sentì qualcosa mordergli il braccio con zanne di ferro, si voltò e con un pugno deciso stese il Pitto ed i suoi fastidiosi coltelli. Gli calpestò la faccia, per essere certo che non si sarebbe rialzato, levò lo sguardo, dilatò le narici, inspirando con furia, vide il suo nuovo bersaglio, ed iniziò l'assalto. Caricò il maglio con tutta la sua forza, mentre già pregustava lo schianto su quell'ignaro guerriero della Corona, intento a finire un avversario con le sue daghe. Il colpò mancò, l'agile guardiacaccia riuscì ad abbassarsi in tempo, mentre il maglio non divorava altro che aria, e contrattacò. Mentre il possente Bruto recuperava l'equilibrio, rapidi colpi gli ferivano il torace. Urlò di dolore, ma non cedette. Ferite come quelle non potevano certo fermare la ferocia della sua razza. Un nuovo colpo, ed il debole uomo delle sabbie cadde come corpo morto. Un nuovo urlo, di trionfo. Un urlo troppo forte, coprì parole di comando.

In un'istante le fiamme avvolsero lo sciocco bruto come un serpente, inondandolo con il loro ardente veleno. La Niviana sorrise. Continuò a muoversi, in cerchi sinuosi, al lato della mischia, da dove poteva vedere i guerrieri agitarsi tra bava e sangue, da dove poteva vedere il loro ghigno distorto nel momento del trionfo, da dove poteva spegnerlo con cupe vampe.
Si accorse troppo tardi di un guerriero del clan che la incalzava da un lato, cercò disperatamente di rimanere calma, ma come era diverso questo rumore dalle silenziose stanze del Liceo. Si obbligò a pensare, ad agire, chiamò il Fuoco Arcano, che terrorizzasse il suo nemico, che lo mandasse via ! Ma l'uomo vestito di stacci e pelli non si fermò nemmeno per un istanze, ringhiò appena, e continuò la sua corsa. La maga del deserto si preparava già al dolore, quando, improvvisamente, il Brinnico si fermò, sputò sangue e cadde al suolo.
Dalle sue spalle comparve quello che doveva essere un cacciatore di Castelbruma, che le sorrise. Doveva essere quel donnaiolo da due soldi di cui le avevano parlato. Chiamò la magia dei Dardi, ed il suo salvatore cadde, trafitto dall'Arcano. Che idiota. Era la Mischia.
Con un sospiro, un sussulto nella sua pelle candida, l'incantatrice riprese a scrutare la battaglia.

La freccia colpì, i maghi erano il suo bersaglio prediletto e quella Niviana distratta crollò senza nemmeno un lamento. Nascosto, tra le alte foglie di un albero, al bordo della radura, il Guardiavia portò nuovamente la mano alla faretra. Meledizione. Aveva usato l'ultima. Guardò sotto di lui, ne restevano pochi. Attese, cacciatore paziente. Gli ultimi caddero, uno dopo l'altro. Non restava che una figura solitaria a trascinarsi tra l'erba incrostata di macchie cremisi. Doveva essere un Venale. Era voltato di spalle, senza armatura, una preda perfetta.
Velocemente si sistemò l'arco a tracolla, estrasse il pugnale e si calò dal tronco, in silenzio. Corse verso la sua vittima, quando il suo occhio incontrò un bagliore argenteo sulla terra. Era la sua giornata fortunata, quel ricco porco aveva perso un nobile. Ancora non si era accorto di lui. Aveva il tempo di raccoglierlo.

Contava i passi, si avvicinavano veloci verso di lui. Si sforzò di restare immobile. La corsa alle sue spalle continuava, un passo, un'altro ancora. Si fermarono. Era il momento. Si voltò ed affondò il coltello nello sprovveduto guardiavia. Il trucco del nobile funzionava sempre.
La giornata era sua.

Profondo, come tuono e tamburo, suonò il corno.

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autore anonimo