Storia di Meridia
In tempi remoti di cui non si hanno tracce né memoria, dallo sconfinato deserto giunsero gli Adusti, l’antico popolo che si evolse negli Uomini della Sabbia e che fu fondamento della prima civiltà merida:
l’Impero del Fuoco.
Il culto del fuoco era infatti un antichissimo retaggio adusto che caratterizzava i primi insediamenti meridi, e che prevedeva cerimonie notturne in cui gli sciamani cantavano litanie e danzavano al muoversi delle fiamme. Fu durante queste cerimonie che il Popolo della Sabbia scoprì, d’improvviso, l’esistenza della magia. Al nascere delle pratiche magiche legate al fuoco corrispose anche un’intensificarsi della trazione religiosa, che si esprimeva in riti popolari estremamente seguiti in cui si venerava il fuoco ed il suo potere vitale, e riti oscuri e segreti nati dall’ombra prodotta dal fuoco. Le manifestazioni magiche furono accolte con un rafforzamento delle convinzioni mistiche, e vennero interpretate come una benedizione. Il Fuoco divenne oggetto di divinazione, gli sciamani acquisirono maggiore coscienza del potere magico e dei modi in cui evocarlo a proprio comando, e i Maghi divennero pian piano una casta dominante e chiusa all’esterno.
L’origine della storia merida viene quindi ricondotta alla nascita dell’
Impero del Fuoco, una monarchia di forte matrice religiosa che nacque quando
Crisostomo I, un potente mago sciamano, riuscì nell’impresa di assoggettare tutti i clan di Uomini della Sabbia in un unico Regno. L’impero fu diviso in tre province:
Salamandra che si estendeva lungo la Cost’Elia e sul Promontorio della Coda, al termine del quale sorgeva la capitale;
Meridia, che occupava la vasta e scarsamente popolata valle del Patrio;
Venalia che occupava il territorio meridionale dell’omonimo Principato.
L’imperatore aveva sede a Salamandra e veniva considerato tale per diritto divino, in qualità di primo sacerdote del Fuoco, o
Eliarca. La provincia dell’Eliarca era ricca, pacifica e prospera; Meridia era invece fertile ma vessata dagli attacchi di creature selvagge, tra cui i temibili e bestiali Bruti. Per questo gli Arconti (o Governatori) di Meridia e Venalia erano solitamente guerrieri e generali d’esercito, affiancati ad un ministro di culto dell’Eliarca che nelle varie città era detto Voce del Fuoco. Costoro erano rappresentanti del potere di Salamandra, e avevano potere religioso e giudiziario, erano maghi e sacerdoti e, di fatto, dettavano legge per conto dell’Eliarca nelle province a scapito degli Arconti, che vivevano con senso di schiavitù il legame di sudditanza dalla lontana e ricchissima capitale.
Durante la discesa degli Uomini del Mare la provincia di Venalia fu la prima a cadere, opponendo una fiera resistenza militare contro i più forti e meglio equipaggiati guerrieri del nord. Meridia tenne i confini, ma
l’Arconte di Piazza del Sole, Lisandro il Pacifico, era invece dell’idea di cedere le armi e sottomettersi senza le ingenti perdite subite da Venalia.
Piramo, Voce del Fuoco di Meridia, spingeva invece per la guerra sotto ordine di
Crisostomo XVIII, affinché la provincia fungesse da cuscinetto alla capitale e permettesse a Salamandra di organizzare una fiera resistenza.
Lisandro prese allora accordi segreti con gli Uomini del Mare, con l’intento di consegnare pacificamente Meridia e rimanerne il Principe giurando fedeltà al nuovo Re del Mare. Per esautorare Piramo fece dunque entrare segretamente a Piazza del Sole un drappello di guerrieri del nord guidati dal generale delle forze d’invasione
Leviardo. Costui intervenne durante una cerimonia pubblica officiata da Piramo, e sfidò il mago di Salamandra a mostrare il proprio potere sconfiggendolo con la sua magia prima che egli riuscisse a colpirlo con la propria spada. L’uomo del nord incedette verso il mago, che con un sortilegio cercò di addormentarlo, ma Leviardo simulò uno sbadiglio e resistette al potere, e irridendo Piramo si avvicinò. Lo sciamano allora formò un dardo di fuoco tra le proprie mani e lo scagliò contro il guerriero. La pesante armatura prese fuoco, ma Leviardo se ne liberò sotto gli occhi attoniti della folla, ed incedette ancora verso Piramo, continuando a dileggiarlo. Un secondo dardo fiammeggiò verso il torso nudo dell’Uomo del Mare, il colpo andò a segno e il generale cadde, le urla dei Meridi esplosero, ma mentre Piramo compiva un piccolo inchino all’indirizzo della folla, Leviardo si mise in ginocchio e con un poderoso fendente stacco la testa alla Voce del Fuoco. Il popolo, smarrito, non reagì all’apertura delle porte agli Uomini del Mare, e nessuno osò opporre resistenza a Leviardo e ai suoi uomini. Piazza del Sole cedette le armi.
Intanto, sulla Cost’Elia, l’avanzata degli invasori aveva ridotto in cenere l’antica città di Fanos, oggi nota con il nome di Lisandria, e aveva messo in ginocchio Irradia ed Ambra, giungendo ad assediare la stessa Salamandra. Crisostomo, agli sgoccioli dell’assedio, fece gettare gli ultimi barili di olio sul nemico e quindi diede alle fiamme l’intera città immolandola al Sole.
Lisandro divenne Principe di Meridia grazie agli accordi con i nuovi dominatori delle Terre Spezzate, Venalia rimase la sua provincia settentrionale, e dalle ceneri di Fanos venne eretta una nuova città battezzata Lisandria in onore del nuovo “Sovrano”.
I Bruti, in questo periodo, erano ancora razziatori del deserto che vessavano la valle del Patrio con violente scorrerie.
Meridia si rafforzò e visse pacificamente sotto l’egemonia del Trono del Mare, pagando tributi ma mantenendo una sostanziale autonomia; le bestie selvagge ed i Bruti costituivano la maggiore piaga sociale dopo le carestie, e a varie ondate sconfinavano nell’alta valle del Patrio. Negli anni della prima giovinezza di Alessandro il Difensore di Uomini, i clan del deserto si erano però fatti sempre più pericolosi e intraprendenti, anche grazie al carisma di un capo Bruto che aveva riunito sotto il proprio vessillo la maggior parte dei clan.
Ornerio il Giusto guidava dunque un vero e proprio esercito di Bruti quando, al termine di un lungo periodo di scorrerie, riuscirono a prendere addirittura Rocca d’Avorio. Il padre di Alessandro, Anassimandro Ivorei Arconte di Rocca d’Avorio, fu ucciso in singolar tenzone dall’enorme Bruto invasore, ma il giovane Alessandro e i suoi fratelli furono risparmiati, e presi come ostaggi dallo scaltro Ornerio, che li fece crescere con suo figlio Reuele.
Anni dopo Rocca d’Avorio venne ripresa, ed i Bruti schiacciati, ma il dodicenne Alessandro nuovo Arconte della città conservava un ricordo onorevole dei fieri bruti, che attaccavano per necessità e non per crudeltà, e che possedevano un loro ferreo senso dell’onore e della giustizia. Trovatosi in seguito a combattere proprio con il clan guidato da Reuele, Alessandro adottò una nuova e vincente strategia per reprimere le scorrerie dei Bruti; offrì loro gli impervi ma pacifici territori ad ovest di Rocca d’Avorio, nella scarsamente popolata alta valle del Patrio, o Piana Litia. Reuele accettò l’offerta, cedendo le armi e inginocchiandosi al fratello che il Merida era stato. Alessandro aveva in un sol colpo diminuito le scorrerie verso Rocca d’Avorio e popolato una regione semi inospitale con pastori e guerrieri di tempra fierissima, onorevoli e di parola. Aveva inoltre ottenuto un esercito personale incredibilmente forte rispetto a quello di altri Arconti meridi. Nonostante il giovane avesse fatto tutto per la maggior gloria di suo zio, Principe di Meridia, aveva però destato le gelosie ed i giusti timori di numerosi nobili di Piazza del Sole, Fu così che la potente famiglia dei Sebastidi, maghi impareggiabili, si mossero con abilità e discrezione per ottenere dal Principe una città in cui fondare la prima scuola di magia delle Terre Spezzate. Alessandro perse così Rocca d’Avorio e, in virtù delle sue innegabili doti militari e del suo ascendente sui valenti guerrieri Bruti fu fatto Arconte di Vigezia, che in quel periodo appariva inquieta e prossima alla ribellione.
La situazione a Vigezia fu immediatamente placata, e Alessandro si adattò alla società venale, entrando in contatto con le ricche famiglie di Niviani. Fu in questi anni che in Alessandro maturò il sogno che l'avrebbe condotto a conquistare tutti i Principati, il sogno di un futuro migliore che non coinvolgesse solo Meridia, che ma che estendesse invece il pensiero e la civiltà del sud a tutte le Terre Spezzate. Grande influenza su Alessandro ebbe inoltre la mentalità intraprendente dei Niviani, che, specie nella persona di Artemio Pelagi, furono anche suoi intimi amici. I Venali nutrirono il sogno di Alessandro e finanziarono la sua campagna militare per la conquista del Trono del Mare. Così il generale merida, forte di navi venali, di truppe scelte di guerrieri meridi e di Bruti, e dell’appoggio del Principe suo zio, mosse su Corona del Re e prese con la forza o con le alleanze tutti i Principati delle Terre Spezzate per Meridia. Alla morte di suo zio, avvenuta in uno degli ultimi anni di conquista, Alessandro gli succedette inaspettatamente sul trono. Suo cugino che ne avrebbe avuto diritto, cedette infatti il titolo in riconoscimento dei meriti di conquista del Difensore degli Uomini.
Alla morte di Alessandro il Difensore degli Uomini non c’erano eredi maschi, ma solo due Principesse sposate al Principe di Meridia, Aconteo dei Leandridi, e al figlio dell’ormai defunto Artemio Pelagi, il giovane Febo. Questi cercò, forte del matrimonio principesco e della sua presenza a Corona del Re, di tenere in piedi l’Impero e rivendicare il Trono del Sole come proprio, ma voci incontrollate aizzarono la folla contro Febo ed Ariadne, sostenendo che Alessandro (benché vecchissimo) fosse stato lasciato morire da sua figlia e suo genero. I due vennero trucidati dalla folla impazzita durante il giorno dell’incoronazione, i tafferugli presto coinvolsero molte altre città. L’Impero del Sole era caduto con Alessandro, gli uomini delle Terre Spezzate non avevano più chi li difendesse, ed iniziarono a farlo da soli. Iniziarono i Secoli Bui.La situazione a Vigezia fu immediatamente placata, e Alessandro si adattò alla società venale, entrando in contatto con le ricche famiglie di Niviani. Fu in questi anni che in Alessandro maturò il sogno che l'avrebbe condotto a conquistare tutti i Principati, il sogno di un futuro migliore che non coinvolgesse solo Meridia, che ma che estendesse invece il pensiero e la civiltà del sud a tutte le Terre Spezzate. Grande influenza su Alessandro ebbe inoltre la mentalità intraprendente dei Niviani, che, specie nella persona di Artemio Pelagi, furono anche suoi intimi amici. I Venali nutrirono il sogno di Alessandro e finanziarono la sua campagna militare per la conquista del Trono del Mare. Così il generale merida, forte di navi venali, di truppe scelte di guerrieri meridi e di Bruti, e dell’appoggio del Principe suo zio, mosse su Corona del Re e prese con la forza o con le alleanze tutti i Principati delle Terre Spezzate per Meridia. Alla morte di suo zio, avvenuta in uno degli ultimi anni di conquista, Alessandro gli succedette inaspettatamente sul trono. Suo cugino che ne avrebbe avuto diritto, cedette infatti il titolo in riconoscimento dei meriti di conquista del Difensore degli Uomini.Anni dopo Rocca d’Avorio venne ripresa, ed i Bruti schiacciati, ma il dodicenne Alessandro nuovo Arconte della città conservava un ricordo onorevole dei fieri bruti, che attaccavano per necessità e non per crudeltà, e che possedevano un loro ferreo senso dell’onore e della giustizia. Trovatosi in seguito a combattere proprio con il clan guidato da Reuele, Alessandro adottò una nuova e vincente strategia per reprimere le scorrerie dei Bruti; offrì loro gli impervi ma pacifici territori ad ovest di Rocca d’Avorio, nella scarsamente popolata alta valle del Patrio, o Piana Litia. Reuele accettò l’offerta, cedendo le armi e inginocchiandosi al fratello che il Merida era stato. Alessandro aveva in un sol colpo diminuito le scorrerie verso Rocca d’Avorio e popolato una regione semi inospitale con pastori e guerrieri di tempra fierissima, onorevoli e di parola. Aveva inoltre ottenuto un esercito personale incredibilmente forte rispetto a quello di altri Arconti meridi. Nonostante il giovane avesse fatto tutto per la maggior gloria di suo zio, Principe di Meridia, aveva però destato le gelosie ed i giusti timori di numerosi nobili di Piazza del Sole, Fu così che la potente famiglia dei Sebastidi, maghi impareggiabili, si mossero con abilità e discrezione per ottenere dal Principe una città in cui fondare la prima scuola di magia delle Terre Spezzate. Alessandro perse così Rocca d’Avorio e, in virtù delle sue innegabili doti militari e del suo ascendente sui valenti guerrieri Bruti fu fatto Arconte di Vigezia, che in quel periodo appariva inquieta e prossima alla ribellione.
La figlia maggiore di Alessandro, Talia, ebbe maggior fortuna della sorella, e riuscì a tenere le redini di Meridia rivendicando il Principato nel suo nome. La Principessa chiamò suo figlio Tideo degli Alessandridi, primo del suo nome e nipote del Difensore degli Uomini, e gli Alessandridi governarono Meridia con saggezza per molti anni.
La pace fu rotta solo da alcuni tentativi venali di secessione, mal riusciti e sedati nel sangue, e dalla guerra intestina che segnò, per un decennio, la spaccatura tra l’est e l’ovest di Meridia.
Elisieva degli Agoni detta l’Atroce alla morte di suo nonno, un Alessandride, si ritrovò ad essere l’erede più diretta in linea di successione, ma poiché si trattava di una donna, promessa ad un capo clan dei Bruti, venne incoronato suo cugino Sinone. Ambiziosa e combattiva, Elisieva dapprima avvelenò Sinone, ed in seguito alle tensioni generatesi a corte, invase con l’esercito del suo promesso sposo Piazza del Sole, assassinando tutti gli Alessandridi che non si piegarono a lei, novella Regina di Meridia. L’ultimo discendente maschio rimasto,
Melezio degli Alessandridi, si trovava a Lisandria, e presa coscienza del massacro fratricida e dell’alleanza che Elisieva aveva stretto con i Bruti di Piana Litia, si affrettò a cercare l’appoggio dei ricchi Crisostomi e dei mercanti venali tramite le famiglie niviane di Lisandria. Melezio si proclamò a propria volta Re di Meridia, e decretò in qualità di legittimo sovrano lo spostamento della capitale a Lisandria. La lotta intestina che ne seguì, nota come
Guerra della Serpe e del Leone, ridusse il Regno in ginocchio, ed ebbe fine solo grazie all’intervento di Venalia, che approntò navi e truppe mercenarie finanziate da Melezio e dai suoi sostenitori, e prese Piazza del Sole dal mare mentre l’esercito di Lisandria combatteva nella Valle del Patrio. Elisieva l’Atroce morì in battaglia con suo marito Ofenio, gli Alessandridi tornarono al potere e, sotto la guida di Melezio e dei suoi discendenti, riportarono la pace e la prosperità. Ma il debito con Venalia ed i ricchi e potenti Niviani era alto e ben lungi dall’essere pagato.La figlia maggiore di Alessandro, Talia, ebbe maggior fortuna della sorella, e riuscì a tenere le redini di Meridia rivendicando il Principato nel suo nome. La Principessa chiamò suo figlio Tideo degli Alessandridi, primo del suo nome e nipote del Difensore degli Uomini, e gli Alessandridi governarono Meridia con saggezza per molti anni.La figlia maggiore di Alessandro, Talia, ebbe maggior fortuna della sorella, e riuscì a tenere le redini di Meridia rivendicando il Principato nel suo nome. La Principessa chiamò suo figlio Tideo degli Alessandridi, primo del suo nome e nipote del Difensore degli Uomini, e gli Alessandridi governarono Meridia con saggezza per molti anni.
All’ascesa di Valleterna gli animi venali erano pronti alla rivolta per la secessione, ma la cavalleria valniana smorzò ogni desiderio di guerra, e Venalia tradì Meridia semplicemente rifiutando di opporre qualsivoglia resistenza contro gli invasori e spianando loro la strada verso sud. Di contro la stessa resistenza di Meridia, pronta a combattere seppur in evidente svantaggio, fu boicottata dai Niviani meridi, che temevano un nuovo periodo di caos e povertà come non se ne vedevano dalla guerra della Serpe e del Leone. Il tradimento segreto dei Niviani fu perpetrato manovrando sapientemente una famiglia piccolo nobiliare di Lisandria, gli Ecneidi, che si convertirono immediatamente alla Tetrade e che si fecero strumento dei Niviani per salvare Meridia dal ferro e dal fuoco. Il tradimento portò alla morte del Re Alessandride, ma i suoi discendenti sparirono letteralmente nel nulla, fuggendo senza lasciare traccia. Il Cavaliere
Eugenio degli Ecneidi, detto la Rosa del Deserto, divenne Principe per conto del Re Valniano e promosse la diffusione del culto della Tetrade, che trovò terreno fertile nel popolino e venne sposato in forma filosofica da nobili nati e studiosi. Il nipote di Eugenio, anni dopo, rifiutò il governo di Meridia per vivere da Cavaliere, predicare e prestare aiuto ai mendicanti e ai viaggiatori lungo la Strada del Re. Meglio noto come il** Devoto Espero, costui compì prodigi e radunò intorno a sé un gran numero di fedeli che lo seguivano nel cammino verso Sidèreo. Egli fu riconosciuto dall’Ecclesia della Tetrade e venne fondato un monastero nel suo nome presso il crocevia tra la Secca (strada che scende dai monti Secchi, appunto) e il tratto della Strada Paterna che taglia la Valle del Patrio, dove egli predicò negli ultimi giorni e morì: Badia d’Espero.
Il predominio valniano ebbe termine nel momento in cui, col brusco mutamento dei rapporti di forza seguito alla peste equina, Castelbruma, con l’ausilio di Altabrina e Neenuvar, prese il potere.
Fu questa l’occasione lungamente attesa dalle famiglie niviane di Venalia, che, seguendo il loro solito schema, preferirono il pacifico vassallaggio alla troppo costosa e difficile resistenza. Sotto la guida dei Galatei, volsero invece i loro eserciti al confine sud combattendo a fianco di un contingente brumiano. Questo ebbe presto ragione delle resistenze meride, consegnando nominalmente le intere Terre Spezzate al dominio del nord, sebbene, a causa delle mai sopite questioni con Neenuvar le attenzioni dei Brumiani fossero sempre rivolte ad altri territori. Questo permise a Venalia di liberarsi ben presto dal giogo di Castelbruma, debole quanto lontano. Ma la resistenza contro i bellicosi Uomini del Nord e le potenti flotte venali era costata troppo alla seppur ricca Meridia, che non ebbe la forza di riaffermare il proprio controllo militare sulla riottosa e mai doma Venalia. Meridia perdeva così, dopo centinaia di anni, la sua provincia settentrionale.
Il fragile regno di Castelbruma non fu mai in grado di consolidarsi al punto da poter riconquistare Venalia, che anzi fu partecipe del suo rovesciamento. Difatti, non appena i Gastaldi mostrarono i muscoli, la comunità niviana fu pronta a sostenerli, dotandoli delle armi che ne permisero la vittoria. Furono infatti loro a fornire, tramite il pagamento di mercenari, una parte delle truppe con cui l’antica famiglia prese possesso di Corona del Re. Ma soprattutto trasferirono nella capitale tutto il patrimonio di sapienza degli alchimisti venali, fornendole un’arma fenomenale e pochissimo utilizzata in precedenza. Il rancore di Meridia nei confronti della provincia perduta si trasformò in odio: l’alchimia era da sempre esclusivo appannaggio merida, ed ora la ricca capitale ne possedeva i segreti. Ancora una volta l’antica provincia aveva scelto la via di minor resistenza vassallandosi, ottenendo enormi privilegi, soprattutto a livello economico, sia per il suo sostegno nella prima fase di conquista, sia per il ruolo che svolse nel portarla a termine.
È un mistero come i Gastaldi siano riusciti a mettere in scacco Meridia e dove gli eredi di Alessandro siano rimasti celati per secoli. L'esercito di Corona del Re entrò infatti nel Principato e lo conquistò senza eccessivi sforzi grazie al grande sostegno popolare, dovuto alla presenza alla guida dell’esercito invasore del legittimo erede del trono merida, Ganimede degli Alessandridi, che, in accordo con i Gastaldi, riportò al governo la sua dinastia dopo secoli di assenza.
Negli ultimi ottant’anni la guida del Principato è stata dunque in mano agli Alessandridi, che lungi dall’onorare la memoria del proprio straordinario capostipite hanno agito in perfetta armonia con Corona del Re, ignorando invece gli antichi odi e le grandiose ambizioni di un Principato fiero e potente come Meridia. Ma con l’avvento al Principato del giovane Aristarco degli Alessandridi, il Leone del Deserto, tutto questo è iniziato a cambiare. Il nuovo Principe sembra essere più cosciente della situazione reale rispetto ai suoi predecessori e certamente meno schiavo di influenze esterne. Chissà che non sia giunto per il Leone il momento di far udire il suo ruggito, liberandosi del giogo e riportando la sua stirpe ai fasti di un tempo.
La Tetrade
A Meridia il Culto della Tetrade è diffuso e largamente seguito sia dal popolino che da chi occupa i livelli più alti della società. La religione giunta con i Cavalieri Valniani è ormai parte integrante del pensiero merida, che si è adattato ad essa mitigandola in forma filosofica. Numerosi sono i templi nelle città, e fortissima la tensione religiosa nei confronti di Sidèreo, che si è sovrapposto e sostituito nell’animo merida al Sole venerato nell’antichità. Nel parlare comune e nelle leggende popolari sopravvivono numerosi i rimandi al fuoco e al sole, ma la fede merida è saldamente legata alla Tetrade, e anche quando un merida prega o impreca, sempre si rivolge ai “quattro”.
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[1] "
- ^ sostiere Ser Pinco Pallino, cavaliere valniano