Riassunto di quanto accadde nel vignameno 1259
Il Duca
Teodorico D'Urso, cugino del Principe Alarico, era recentemente succeduto all’amatissimo Clodoveo, suo padre e signore della fortezza di
Portoferro per oltre trent'anni. Il Principe D'Urso e numerosi ospiti di terre straniere erano attesi nel sesto giorno della prima decade di Vignameno per acclamare Teodorico quale nuovo signore della città. Il dominio del nuovo Duca tuttavia si rivelò oscuro ed eccezionalmente breve: la sera stessa Alarico gli avrebbe spiccato la testa per tradimento. Pareva infatti che il castello fosse infestato: il popolino sosteneva con timore che rumori terrificanti si odevano durante la notte, lugubri lamenti che rimbombavano nelle viscere della fortezza.
Durante la giornata si scoprì invece che Teodorico, con l’aiuto di un mago straniero, un Erede di nome
Hoseldon, stava forgiando un’armata di
colossi di roccia allo scopo di usurpare il trono dei D’Urso. Queste terribili statue animate obbedivano ciecamente al Duca che li aveva forgiati, ma l’Iniziata Persefone si dimostrò più astuta, piegando al suo Volere Teodorico e, con lui, il colosso di roccia che lo seguiva. La maga venale consegnò il traditore nelle mani del Principe di Castelbruma che lo giustiziò seduta stante.
Infine si scoprì che gli empi simboli rinvenuti sulle mura, che la plebe attribuiva ai misteriosi spettri, erano stati tracciati da fedeli del proibito culto del Corvo, che pure furono catturati solo in parte. Ciononostante nella fortezza si trovava davvero uno spettro, benché non fosse responsabile né del rimbombo né dei simboli... lo spettro del defunto Duca Clodoveo, che per primo accusò il figlio di tradimento, dando inizio ai sospetti nei confronti di Teodorico.
Non fu quella del tradimento l’unica ombra che offuscò la giornata: già nel 1258 una profezia oscura aveva presagito grandi cambiamenti per l’antico culto: seguendo le sue parole alcuni uomini, desiderosi di rivincita nei confronti del Bando Reale che li aveva così limitati, erano riusciti ad evocare un
demone dalle sembianze corvine grazie ad una reliquia chiamata la Zampa del Corvo. Lo Spirito del Corvo era in grado di sottomettere la volontà dei suoi seguaci, o almeno così si vociferava. Tra coloro i quali cedettero alle lusinghe del demone corvino si annoverano il guerriero del clan Nibbio, Ranyare di Neenuvar, che in seguito fu eletta guida del clan del Corvo,
Ludovico dal Pozzo, veterano tra gli armigeri, Astolfo, primo cacciatore di Castelbruma e
Ginepro, kyermen che in seguito riuscì a pentirsi, redimersi e a ricevere addirittura il perdono reale.
Durante il raduno a Portoferro i seguaci del Culto, fino a quel momento latenti, diedero prova della propria forza, creando non pochi problemi ai Tetradici, che tentarono invano di arginarne gli eccessi: fu sfregiato con il simbolo del Corvo persino un Vicario dell’Ecclesia, Ser
Augusto Laurenti, su ordine di
Barduccio, detto il gentile, campione del Clan reso folle e violento dalla repressione scattata contro i seguaci del culto.
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