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Ambientazione

La turbolenta situazione italiana del ‘44

“[…] lo Stato che uscirà dall’immane travaglio sarà il vostro e come tale lo difenderete contro chiunque sogni ritorni impossibili. La nostra volontà, il nostro coraggio e la vostra fede ridaranno all’Italia il suo volto, il suo avvenire, le sue possibilità di vita e il suo posto nel mondo. Più che una speranza, questa deve essere, per voi tutti, una suprema certezza.

"Viva l’Italia! Viva il Partito Fascista Repubblicano!”


Le parole di Benito Mussolini a Radio Monaco riecheggiano ancora negli altoparlanti delle città e dei villaggi del nord Italia, quello che adesso si chiama Repubblica Sociale Italiana. Uno Stato nello Stato, contrapposto al Regno del Sud, tenuto in piedi dal Re, Vittorio Emanuele III e dal Generale Badoglio rifugiati in Puglia. Un governo nato da un colpo di stato, una destituzione, un arresto. E una liberazione. Gli Alleati, americani, inglesi, canadesi, sono sbarcati in Sicilia il 10 luglio del 1943 e l’armistizio tra l’Italia e gli Angloamericani è stato firmato a Cassibile, in Sicilia, l’8 settembre del 1943. Mussolini era stato liberato dalla sua prigione sul Gran Sasso con una prodigiosa azione dei reparti di paracadutisti tedeschi scesi dal cielo con alianti silenziosi come aquile. Non un colpo era stato sparato e la Repubblica Sociale era stata fondata per volere del Duce e del Führer Adolf Hitler. La necessità di avere un territorio che non lasciasse spazio di manovra agli Alleati sbarcati sulla penisola era parte del piano di mantenimento. I tedeschi si aspettavano un tradimento da parte degli italiani. Aveva inizio l’Operazione Achse e con essa l’occupazione nazifascista del centro e del nord Italia.

Dopo l’armistizio, per i primi tempi, si sperò, respirando il sapore di una libertà che era ancora lontana. La popolazione però si sentiva priva di guida, persa e senza nessuno al timone. Ma il vento, la sensazione legata alla mancanza di vere e proprie regole, dopo un principio di smarrimento, liberò le coscienze dei cittadini dai vincoli in cui il regime prima, e il Re e il Duce della RSI poi, tentavano di mantenere la popolazione.

Libertà con coprifuoco. Censura. Cordoni di polizia che si snodavano nelle città. Militari del Re che sparavano su manifestanti. Tedeschi in casa. Gerarchi nascosti e protetti dal Regio Esercito. L’illusione della pace svanì rapida come neve al sole.

La guerra continuava.

Ma il principio della forza come unico mezzo per regolare la vita, la prevaricazione dei diritti e dello sfruttamento del popolo aveva acceso qualcosa che rimaneva nascosto, al sicuro, sotto le braci di una volontà ferrea che diede vita a una lotta che nasceva dal basso, da chi sentiva il bisogno di partecipare a quella che sarebbe stata la liberazione dell’Italia. L’armistizio con gli Alleati era solo un modo per mantenere il potere e il popolo, disorientato e stanco, era stufo di essere spettatore e attore inconscio della propria tragedia. Così sorsero i gruppi partigiani - per generazione propria e non per eredità – (G. Bocca).

Non si trattava più di guerra esercito contro esercito, nazione contro nazione, soldati contro soldati ma una guerra tra italiani che avevano perseguito un ideale e italiani che ne avevano perseguito un altro.

Una guerra civile sullo sfondo di un’Italia occupata dai Nazifascisti, duri, violenti e senza alcuna forma di pietà che venivano incalzati da sud dagli eserciti Angloamericani guidati dal Generale Alexander. E con la Werhmacht in ogni città prese anche il via la soluzione finale. Rastrellamenti e deportazioni per ebrei, avversari politici, briganti, ribelli, soldati fedeli al Re. Nessuno veniva risparmiato.

Mentre gli Alleati avanzavano, le formazioni partigiane, perlopiù guidate dal Comitato di Liberazione Nazionale, crescevano di numero annoverando giovani, anziani, donne e persone comuni. Le formazioni autonome, non riconosciute dal CLN, erano trattate alla stregua di briganti tanto da portare a fucilazioni anche tra le formazioni antifasciste. Man mano che le formazioni andavano aumentando di numero e di efficienza, si intensificavano anche le azioni dei partigiani contro i fascisti e i nazisti presenti sul territorio. Non una vera e propria guerra -  impensabile vincerla - ma una guerriglia, combattuta tra i monti, nelle foreste, lungo le valli. E più le imprese dei “briganti” si facevano audaci, più le rappresagli dei Nazisti si facevano terribili e violente, spiegabili solo con la disperazione e la frustrazione legata all’impotenza di opporsi ai ribelli delle montagne, agli Alleati che incalzavano, e per puro spirito di vendetta nei confronti di una popolazione che odiava l’invasore.

La linea Gotica e l'Appennino Toscoemiliano

Il Feldmaresciallo Albert Kesserling, ufficiale in comando delle forze tedesche in Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 intendeva proseguire la battaglia contro gli Alleati applicando la strategia della “ritirata combattuta”, infliggendo al nemico un gran numero di perdite e impedendogli di raggiungere il Nord Italia e quindi il cuore dell’Europa. Il punto per istituire un buon fronte di difesa venne individuato dalla provincia di Apuania (Massa e Carrara) sul mar Tirreno, fino alla costa Adriatica, nella provincia di Pesaro estendendosi quindi lungo la Garfagnana, appennino modenese, appennino bolognese e alta Val d’Arno. La linea difensiva, composta da fortificazioni, bunker, postazioni di avvistamento, caserme fu chiamata Gotenstellung, in italiano Linea Gotica. La forza lavoro impiegata era parte dell’Organizzazione Todt, composta da manodopera italiana prelevata in maniera coatta e obbligatoria. I passi della Futa e del Giogo, a ridosso di Monte Sole, erano un punto fondamentale da oltrepassare per sfondare la Linea Gotica secondo l’Operazione Olive messa in piedi dagli Angloamericani. I Tedeschi ben comprendevano la necessità di fortificare la zona e assicurarsi il controllo di quella porzione di territorio. Per poter difendere però quella porzione di territorio era necessario eliminare ogni possibile focolaio di Resistenza e con essi ogni Brigata partigiana, briganti, ribelli e fiancheggiatori. Kesserling, il 12 agosto 1944, emanò un bando con alcuni punti fondamentali che, in sostanza, davano carta bianca ai comandanti della Wehrmacht su come agire:

 12 AGOSTO 1944: BANDO DI KESSELRING (estratto)

1. Iniziare nella forma più energica azioni contro le bande armate dei ribelli, contro i sabotatori e i criminali che comunque con la loro opera deleteria intralciano la condotta della guerra e turbano l’ordine e la sicurezza pubblica. 
2. Costituire una percentuale di ostaggi in quelle località dove risultano essere bande armate e passare per le armi detti ostaggi tutte le volte che nelle località stesse si verificassero atti di sabotaggio.
3. Compiere azioni di rappresaglia fino a bruciare le abitazioni poste nelle zone da dove si siano sparati colpi di arma da fuoco contro reparti o singoli militari germanici.
4. Impiccare sulle pubbliche piazze quegli elementi riconosciuti responsabili di omicidi e capi di bande armate. 
5. Rendere responsabili gli abitanti di quei paesi dove si verificassero interruzioni di linee telegrafiche e telefoniche nonché atti di sabotaggio relativi alla circolazione stradale.
6. Quanto precede si porta a conoscenza dei cittadini i quali devono contribuire efficacemente affinché da parte di elementi al soldo del nemico non possano essere compiuti gli atti criminosi sopra menzionati.

L’Operazione Olive fu sferrata dagli Alleati il 25 agosto 1944, concentrando le forze sulla costa adriatica per sfondare la Linea Gotica sul fianco e al centro, per raggiungere Bologna. Firenze era già stata liberata. Si trattava di passare le montagne per poter scendere in pianura padana. Gli Angloamericani sfondarono verso Rimini e tra il 18 settembre e il 21 settembre conquistarono il Giogo e la Futa. Ora mancava il Passo della Raticosa, ma i Tedeschi si dimostrarono abili nel parare i colpi degli avversari. Il 27 di settembre gli Angloamericani sferrano un nuovo e poderoso attacco per oltrepassare gli Appennini, avanzando fino al Passo della Raticosa, a pochi chilometri da Monte Sole. 

Montelupo e le valli circostanti 

Montelupo è un piccolo borgo che sorge aggrappandosi alle pendici di Monte Sole, appena a nord dell’appennino tosco emiliano, il primo paese oltre il passo della Raticosa. Verso est vi è Monzuno, verso Ovest Grizzana Morandi, a nord Marzabotto e Sasso Marconi. Oltre, Bologna. 

Montelupo è uno dei primi e più importanti paesi che si trovano oltre i passi che dividono la Toscana e l’Emilia Romagna, passaggio obbligato per le truppe Alleate che stanno risalendo la penisola italiana. Baite di pietra, un forno e una locanda. Non manca nemmeno la casa di tolleranza, con tariffe agevolate per militari. La guerra sta volgendo al termine, o almeno questo pensa la popolazione del piccolo villaggio. Ormai i tedeschi si stanno ritirando, hanno smontato pezzi di artiglieria, interi tratti di ferrovia, smantellato postazioni, disfatto i sistemi di comunicazione via cavo e distrutto le antenne e i ripetitori. La vita, presto o tardi, tornerà alla normalità. La gente di Montelupo è serena. Voci dicono che gli Alleati, gli anglo-americani, si trovano appena oltre il passo. Qualcuno afferma di aver visto con il binocolo alcune avanguardie anglo-americane sulle montagne. La notizia della liberazione di Firenze è ormai confermata e sicura. La prossima sarà Bologna e non può mancare molto. Gli stessi partigiani locali stanno lasciando la macchia e spesso violano la clandestinità facendosi vedere in paese. La Stella Rossa - così si chiama la Brigata Partigiana Autonoma fondata da Ettore Gamberini, detto Sirio – controlla i boschi limitrofi continuando la guerriglia nei confronti dell’oppressore tedesco. I preti, dal canto loro cercano di mediare la situazione. O meglio, questo è sicuramente quello che fa Don Cattani, mentre Don Montanari pare si sia unito alla Brigata partigiana. Il Podestà Giulio Castaldi, in accordo con il capitano delle Brigate Nere Augusto Malagoli, cerca di mantenere una situazione di equilibrio.

Forse, finita la guerra, vincitori e vinti, chiunque essi siano, potranno trovarsi a bere qualcosa insieme all’osteria e la vita potrà tornare alla normalità, come quando la guerra era solo un incubo lontano. Montelupo è attualmente abitato da una prevalenza di donne che, in barba alle leggi di Mussolini del 1938, si sono dovute arrangiare per sopravvivere come moltissime altre italiane. Hanno dovuto lavorare e darsi da fare poiché gli uomini sono partiti per la guerra, morti, oppure dispersi nei boschi. I bambini di Montelupo, per sicurezza, sono stati allontanati e hanno raggiunto paesi più sicuri giù in valle, da parenti e amici. Presto le mamme potranno andare a recuperarli.

La vita quotidiana

La vita quotidiana è uno sforzo sovrumano per sfuggire alla guerra. E ormai, a quanto sembra, la gente di Montelupo ce l'ha quasi fatta. Gli uomini hanno lasciato il villaggio, chi prima e chi dopo. Qualcuno è rimasto per mandare avanti la baracca ma sono le donne a essere diventate l’anima e la vita del villaggio. Qualcuno non farà mai ritorno. In fin dei conti qualcuno doveva pensare ai campi, agli animali e a tutto il resto. I fratelli sono partiti e i genitori con le figlie sono rimasti. Anziani e donne cercano di sopravvivere, giorno per giorno, usando i bollini per recuperare il cibo, mostrando le tessere per avere quanto era possibile per mangiare. Impastano il pane, curano le galline, cuciono i vestiti nell’attesa che tutto finisca. In fin dei conti a chi può interessare un paese di pochi abitanti come Montelupo? I giovani, incoscienti, o forse coraggiosi, hanno abbandonato le loro case per vivere nel bosco, dormendo una notte in una baracca, un’altra sotto le stelle e a chissà dove. Vivere una vita libera da tutti i vincoli che erano stati fissati negli anni precedenti, per dire la loro, per combattere contro il regime fascista e contro l’occupazione nazista. L’abitante di Montelupo pensa per sé, gli è estranea la dimensione del gruppo. Ci si salva da soli, in un modo o nell'altro. Ha il terrore degli incendi, delle rappresagle, che potrebbero portargli via la sua abitazione e il poco che gli è rimasto. Chi non vuole prendere posizione, però, deve giocoforza soccombere alle richieste degli invasori tedeschi, troppo forti e spietati per ricevere rifiuti. L’unica strategia possibile allora diventa quella di non compromettersi con i partigiani, fingendo che non ci sia un’invasione e che l’ordine costituito sia quello dei tedeschi. Nel borgo di Montelupo, come ovunque nell’Italia della Repubblica Sociale, vi sono coloro che si mantengono fedeli al Fascio, con la presenza delle Brigate Nere e della Guardia Nazionale Repubblicana. Ma ci sono anche quelli che aiutano i ribelli nel bosco, portando loro cibo, vettovaglie, informazioni e vestiti. 

E infine, la stragrande maggioranza, coloro che hanno deciso di sopravvivere a qualunque costo. Mal sopportano l’oppressore tedesco, ma lo assecondano per poter aver salva la pelle. Così come aiutano e assecondano i partigiani. Pur considerandoli un rischio per la propria incolumità. In costante bilico su una lama a doppio taglio, dove lo scopo è quello di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, forse l’unico modo per attendere l’arrivo degli Alleati ed essere finalmente di nuovo liberi. Ma in fin dei conti, i tedeschi se ne stanno andando. 

La Liberazione, la fine della guerra, gli anglo-americani sono vicini e la speranza, nel cuore degli abitanti di Montelupo si sta riaccendendo mentre un senso di spossatezza e di stanchezza si sta impossessando di chi troppo si è consumato durante questi ultimi duri, faticosi e stremanti anni. 

La vita va avanti. Per tutti.

 

Ispirazioni

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