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Ambientazione

Gli anni di piombo

"Ora questa società e questo stato non possono più restare come erano o come sono, neanche se lo volessero: se non cambieranno in meglio periranno"
Luigi Pintor, giornalista

Il desiderio era uno solo, accellerare il corso della storia, portare l'Italia, appesantita da atavici problemi, al collasso, così che si potesse istituire un nuovo stato in una nuova società.

Sotto lo Slogan "pronte a lottare contro i padroni sul loro stesso territorio" nascevano, il 20 ottobre 1970, le Brigate Rosse: l'associazione terroristica che fu protagonista della scena nazionale italiana lungo tutti gli anni 70. I terroristi rossi, insieme all'estremismo di matrice neofascista, contribuirono a creare una delle più grandi e serie minacce per la nostra democrazia, per la quale si aveva aspramente lottato solo 30 anni prima; così iniziavano i cosiddetti "anni di piombo".

La fama delle bande terroristiche crebbe di pari passo con le azioni di guerriglia che riuscivano a compiere, i simpatizzanti crescevano di fronte alla fiacchezza della risposta delle forze dell'ordine e la strategia di "annientamento" portò presto il panico e lo scompiglio fra i "servi dello stato". Giornalisti, magistrati, notabili e burocrati finirono nel mirino di questi guerriglieri all'italiana che volevano esportare il modello sudamericano de "La Revoluçion" giusta e senza mezzi termini: il tempo di dialogare con le istituzioni era finito. "O si muore, o si combatte".

La politica istituzionale ben presto tentò azioni di risposta. Berlinguer con la sua cristallina onestà, Andreotti con il suo enorme peso politico e il suo cinico realismo riuscirono a creare un progetto condiviso per difendere lo stato, un progetto non completo e pieno di difetti, ma comunque l'unico veramente valido per salvare le istituzioni dal caos di una guerra civile, che sarebbe potuta nascere al primo passo falso. I "governi di solidarietà nazionale" e il "Compromesso storico" non furono certo sinonimo di risposta compatta ed univoca di fronte alle varie sfide, ma gli sforzi congiunti dei due maggiori partiti accesero una luce in fondo al tunnel. Esse furono la fiammella che avrebbe spento l'incendio di violenza che stava per sconvolgere ogni ambiente della società civile.

Il 16 ottobre 1978, il rapimento di Aldo Moro, il grande tessitore della politica democristiana, fu il funerale dei movimenti rivoluzionari italiani. L' estremizzazione delle brigate, il rifiuto di un dialogo da parte dello stato e infine l'uccisione di Moro ebbero la conseguenza di delegittimare i gruppi rivoluzionari che militavano pacificamente e di diffondere nella popolazione civile un netto rifiuto della violenza.

È durante questi ultimi anni che si svolgono i fatti che avranno luogo in "L'Ultimo Covo", il colpo di coda dei brigatisti, che, messi all'angolo dalla società civile che li aveva nutriti o foraggiati, come fiere terrorizzate, tentano l'ultimo atto disperato, cercano di puntare al collo dell'aggressore. I morti e i feriti aumentano su entrambi i fronti ma oramai gli ultimi covi hanno le ore contate; lo stato e la democrazia stavano per mettere il punto al capitolo terrorismo ma non senza aver pagato un prezzo enorme.


 

Politica e vita quotidiana

"Le radio libere sono provocazione, tutto il potere alla televisione"

Così i manifestanti nel '77 urlavano per le strade denunciando l'invasione capillare dei media nella vita di tutti i giorni; gli studenti accusavano la cultura capitalistica commerciale che stava degenerando gli animi degli italiani; sentivano ancora forte il richiamo del '68 e non volevano chinare il capo. L'Italia, unica in europa, era ancora in subbuglio e l'anima delle proteste non si sarebbe spenta presto.

Da un lato gli yuppies, la disco dance e la vita mondana, la media ed alta borghesia che dopo l'impegno sociale di fine anni sessenta si ritira in una edonistica gabbia di cristallo, i centri città che si riempiono di negozi di lusso e il benessere che viene ostentato nella moda e nei locali notturni. Dall'altro le radio libere che parlano di politica e divengono la voce di collettivi e gruppi rivoluzionari, la cultura punk inglese con il rock che sfonda le classifiche di vendite di fianco a Gaber e Battisti, l'underground dove il mondo della droga diviene parte integrante di una esperienza psichedelica ed onirica sulla musica dei Pink Floyd e del grande movimento del progressive italiano. L' arte diviene strumento di protesta e sovversione: citiamo solo ad esempio le immagini forti e anti-sistema del Cannibale e il boom di fumettisti come Andrea Pazienza, il loro rifiuto per la produzione commerciale come imposizione etica morale della loro coscienza artistica.

Agli eccessi, alle libertà e ai colori di quegli anni si contrappongono il terrore e la violenza colorate di nero e rosso. Gli scontri fra i gruppi estremisti di matrice neofascista o rivoluzionaria erano a livelli di guardia: era normale convivere con le sirene della polizia e la paura di capitare al momento sbagliato nel posto sbagliato. Quando, durante la cena, si accendeva la televisione per il telegiornale della sera era diventato normale sentir parlare di morti o scomparsi: il panico e l'impotenza della classe politica erano percepiti distintamente.

Nel frattempo, quando la lotta ideologica raggiunse il punto da far temere una guerra civile soppraggiunsero la crisi, l'inflazione e la disoccupazione. Famiglie spaccate dallo scontro generazionale: la cultura del boom contro quella giovanile. Padri di famiglia costretti a scegliere se esporsi in manifestazione con i sindacati per i propri diritti o assicurarsi quei pochi spicci per far studiare i figli e dargli una vita il più dignitosa possibile.

In questo clima di caos molti compagni cedettero alla tentazione dell'estremismo, smarriti e senza punti di riferimento politici: il collega che diventava un guerrigliero clandestino diceva che solo con la violenza si sarebbero risvegliate le coscienze addormentate; il vicino che con la mazza della zappa e il casco da lavoro va a pestare alcuni universitari che hanno occupato una cascina sosteneva che andassero educati con le botte e il pugno di ferro. Nonostante queste contraddizioni l'Italia era unita.

Solo trent'anni prima si era usciti da una guerra civile che aveva logorato il paese. Il benessere generale era comunque palpabile, lo spirito democratico, la narrazione partigiana, il rifiuto da parte della popolazione della violenza; l'atroce omicidio di Moro: l'immagine della macchina con dentro il cadavere fresca e vivida nella memoria collettiva.

Da questo spirito democratico, collante ideologico, che unì democristiani e comunisti durante la seconda guerra, nacquero i governi di "solidarietà nazionale" in cui il partito comunista italiano e la democrazia cristiana investirono enormi energie. La grande alleanza politica tra Pci e Dc, fu l'unica valida risposta messa in campo dalla politica italiana per la lotta al terrorismo, che colpiva magistrati, giornalisti ed impiegati statali con sempre più ferocia e intensità dopo le elezioni politiche del '76.

Aldo Moro fu rapito per mettere sotto accusa la Democrazia Cristiana e il sistema politico italiano.

Giuseppe Taliercio per mettere sotto accusa il capitalismo, le sue contraddizioni e le condizioni nelle fabbriche.

Il generale NATO James Lee Dozier, per mettere sotto accusa il sistema di difesa integrato e l'imperialismo occidentale.

Così si vivevano gli anni in cui le Brigate Rosse davano il colpo di coda, così si stava per giungere alla notizia dello smantellamento dell'Ultimo Covo.


 

Il rapimento Dozier

Ore 23:15 del 17 dicembre 1981: "Si interrompono le normali trasmissioni televisive per una edizione straordinaria di Rai Notte. Alla redazione Ansa di Milano è giunta una telefonata anonima; un uomo che affermava di parlare a nome delle Brigate Rosse ha detto: abbiamo rapito il generale di brigata James Dozier in via Lungo Adige 5, seguirà comunicato”.

Dal silenzio e dallo stupore di quella notte si svilupperanno le vicende che ci vedono coinvolti: le Brigate Rosse rapiscono a Verona il generale americano NATO James Lee Dozier. Quattro brigatisti travestiti da idraulici suonano alla porta dell'appartamento del militare, immobilizzano la moglie e lo caricano su un furgone dopo una colluttazione. Il generale non ha guardie del corpo e l'operazione si rivela sorprendentemente facile. E' l'inizio di un giallo internazionale che vede coinvolte l'Italia, l'America e la Nato. Inizia la più grande operazione di polizia mai vista in Italia, controlli e posti di blocco in tutto il Veneto e sulle principali arterie del paese.

L’ insistenza americana e le pressioni internazionali, le ipotesi che in realtà dietro ai nuclei combattenti proletari vi fossero gli interessi dell’Unione Sovietica, come il Presidente della Repubblica Sandro Pertini disse nel suo discorso di capodanno, e l’attacco diretto alle forze dell’ordine con gli attentati al vice-capitano della digos Nicola Simone fanno presagire un futuro sempre più cupo per il generale NATO.

Lo stato reagisce con la fermezza e le BR, oramai convinte di essere in uno stato di guerra civile, si rifiutano di trattare per la liberazione dell’ostaggio; la morte del generale è un’ipotesi plausibile ma le forze dell’ordine non si danno per vinte, si è vicini a trovare l’ultimo covo e a sgominare una delle ultime colonne italiane. Si è alle ultime mosse di una partita a scacchi durata più di un mese che ancora è tutta da decidere.


 

Il 1981

Il 1981 è un anno inquieto in tutto il mondo, la tensione fra la russia di Breznev e gli stati uniti di Reagan è al massimo; a Varsavia la giunta militare guidata dal generale dell'esercito Wojciech Jaruzelski reprimeva con la violenza le proteste di Solidarność, in Spagna fallisce solo grazie all’intervento del Re un colpo di stato di matrice franchista ed in Egitto viene assassinato il presidente della repubblica Muḥammad Sādāt. In Italia, oltre al terribile attentato a Papa Wojtyla e agli inquietanti fatti inerenti alla loggia massonica P2, l'offensiva delle Brigate Rosse non conosce sosta. Il clima è di instabilità ed incertezza e i fatti internazionali non fanno che amplificare questa sensazione.

Un duello serratissimo fra Stato e terroristi è in corso, agli arresti rispondono la violenza e gli assassinii, ma un giro di vite è in atto e la Repubblica mette in campo un apparato di forze mai visto prima. Dalla determinazione delle forze dell’ordine nascono le operazioni che portano all’arresto il 4 aprile, a Milano, di Mario Moretti, capo della direzione strategica brigatista, insieme a Enrico Fenzi, Tiziana Volpi e Silvano Fadda. Dalla ostinazione e risolutezza delle BR maturano i rapimenti e le esecuzioni di coloro che sono ritenuti colpevoli di perorare la causa capitalista e la controrivoluzione: il consigliere regionale campano Ciro Cirillo, il direttore di Monte Fibre Giuseppe Taliercio, il direttore del policlinico di Milano Luigi Maccacani e il fratello del collaboratore e traditore della causa brigatista Roberto Peci.

Alla fine di quest’anno confuso, in cui la violenza continuava a rigenerarsi senza tregua, venne alla luce il piano per il rapimento di James Lee Doizier, generale di brigata NATO e responsabile per le operazioni nel Mediterraneo del Sud.

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