LA CORTE DEL GIORNO
Oggi è Domenica, domani si muore.
Oggi mi vesto di seta e candore.

E’ il tempo del pendolo che oscilla in eterno, che scandisce la regola delle regole: ogni cosa deve avere un posto designato tra le pagine del Libro dell’Acqua. Il Re Immacolato muove con disciplina e strategia i suoi Alfieri, valorosi cercatori di leggende e coraggio, per vincere una vecchia scommessa contro l’Autunno. La Regina dirige la lieta danza delle fanciulle sulla melodia dell’Eroe d’Argento, colui che per amore rubò l’ocarina di Luna al pozzo delle Sirene. Con gratitudine e fierezza le genti di bianco vestite si dispongono ordinate lungo la geometria della Torre, formando l’eburneo corridoio ove passa l’Inquisizione di Specchi, la giustizia incarnata che scova e riflette il male dell’anima. Le gemme dalle forme perfette rispondono soltanto alla rapsodia dei Magi, saggi custodi dei segreti trascritti sulle cortecce dei pallidi pioppi. Tutti gli uomini e tutte le donne inchinati ai sovrani del Sole sanno che per mantenere vivida l’armonia degli affetti la Regola Bianca deve stare sopra ogni cosa, che la fragilità di un anello non può indebolire la catena e che la fenice si reincarna con una piuma di meno.

I cuori della Corte del Giorno battono al suono di luci diverse, come i riflessi dell’aurora nelle lacrime di quella madre che pianse rugiada. Umana speranza e ardore di verità fanno da contraltare all’incedere implacabile e freddo di chi non conosce pietà e perdono. Per questo, quando il sole inizia a calare, stretti in piccoli gruppi i seguaci del bianco paiono divisi, fra l’oggi e il domani, fra il dovere e l’onore, fra il castigo e il sorriso. Eppure, quando la luce del giorno torna a brillare, e coraggiosi cavalieri e vescovi solenni, viaggiatori delle sabbie alla ricerca di una città dentro una bottiglia e quelle veggenti che sedussero il passato, tutti insieme piantano croci nel verde prato, perché un nemico senza volto non possa varcare le mura celate.
LA NOBILTÁ DELLE CARABATTOLE

Tra sfarzose corti e labirinti di siepi, castelli cangianti scolpiti nelle nubi più chiare ed eleganti palazzi la cui ala ovest è sempre proibita, i signori del Regno Incantato hanno governato ogni contrada fin dal giorno in cui la luna si mise a danzare col sole.
Valorosi e saggi, ma anche capricciosi e volubili, i nobili uniti da quel sangue blu le cui gocce sono parimenti preziose per fattucchiere e profezie, offrivano balli segreti per damigelle fatate e cerche composte da tre prove impossibili per gli innamorati cavalieri, dispensavano giudizi e punizioni e l’uno guardava con invidia i dominii dell’altro.
Ora che il Nulla ha divorato ogni cosa e delle vecchie terre e confini non resta neppure il ricordo, i nobili che secondo la Regola Bianca hanno il dovere di guidare la Corte del Giorno si contendono la sovranità sugli ultimi vassalli e le piccole cose. E così il Marchese dei Bottoni osserva con cautela le mosse della Regina di ogni porta, mentre la Duchessa e il Vescovo si disputano l’autorità su pomi d’ottone e manici di scopa.
Eppure, da quando il Re Immacolato è stato colto da un male sconosciuto, le contese fra i signori del giorno si sono fatte più serie. Ognuno di loro cerca seguaci a cui conferire missioni e da cui ricevere fedeltà e doveri. Ognuno di loro si prepara al momento in cui, finalmente, la tregua di un anno e un giorno sarà infranta e la bianca Corte potrà reclamare come sua la Rocca d’Avorio.
LE GENTI DI NESSUNDOVE

Pare che non esista una direzione per il villaggio di Nessundove, i vecchi intorno al fuoco dicono che la si riesca a trovare solo quando non la si cerca davvero. Chi ci è stato anche solo una volta nella sua vita può dire di aver vissuto almeno una grande avventura. Infatti per una qualche ragione, coloro i quali inseguono qualcosa che davvero gli sta a cuore e si mettono in viaggio per ottenerla, non importa quale sia il sentiero solcato, prima o poi si ritroveranno senza volerlo a Nessundove: cavalieri erranti bramosi di gloria, giovani affamati di avventura, damigelle in fuga dal loro destino. “Se non sei andato a Nessundove, non stai andando da nessuna parte!” dice il proverbio, e Dio solo sa quanto sia vero. Nessuno può dire quale sia stata la sorte del villaggio, se inghiottito dal Nulla o bruciato per mano del Re che Mai Fu.
Ora, quando ogni strada è scomparsa e solo la Rocca d’Avorio rimane, le genti di Nessundove sono al servizio dei nobili della Corte del Giorno. Ma esiste un modo per tornare al bel villaggio perduto? Forse, per una volta, per trovare qualcosa bisognerà volerlo davvero?
L'INQUISIZIONE DI SPECCHI

Quando il sole brilla alto nel cielo, facendo fuggire ogni ombra nel regno nascosto sotto le colline, quando nell’abbagliante chiarore ogni segreto sembra rivelarsi, come un cavaliere solitario arreso davanti a un nemico cento volte più numeroso, allora la luce pare a tutti implacabile, un severo giudice sordo a pietà o perdono. Allo stesso modo, fra sommessi sussurri di riverenza e timore, vengono accolti nella bianca corte questi implacabili Inquisitori, uomini e donne votati al dovere, la cui violenza nell’agire è cristallina quanto la purezza di intenti. La loro missione è chiara: scovare e mostrare, così come fece il primo specchio, nascosto in quel luogo dove non si può più tornare, il male e il dubbio celato nell’animo di ognuno. Si dice che quando gli Inquisitori riescono a strappare una confessione, essi possano indicare un nemico che il penitente dovrà odiare e combattere, quasi come fosse il suo riflesso più cupo.
Mentre la Corte del Giorno attende la fine degli ultimi giorni di tregua, l’agire dell’Inquisizione di Specchi si fa sempre più ardito. Forse per preparare le bianche schiere all’ultima storia, forse per uno scopo più grande, di cui neppure il Vescovo pare conoscere la natura.
I VEGGENTI DEL TEMPO PERDUTO

Mentre il Nulla divora ogni cosa, senza fare distinzione fra il Regno e la memoria, svaniscono i ricordi di ogni racconto, e anche gli ultimi rifugiati fra le mura della Rocca d’Avorio niente stringono del loro passato se non frammenti. Eppure, si dice che questi veggenti possano guardare nel tempo perduto e fendere le nebbie dell’oblio ormai calate su tutto ciò che avvenne prima del Secondo Giuramento. Come possano compiere questo prodigio è un mistero. Secondo alcuni essi raccolsero le carte con cui giocavano le stagioni, quando il Niente le rapì nel suo morso di polvere. Secondo altri invece riuscirono a sedersi sui seggi di pietra lasciati vuoti, in quella foresta dove crescono fragole nel gelo di dicembre. Altre storie dicono che niente di tutto questo è vero e che tutto iniziò con un Fauno e un abbandono. L'unica cosa certa è che questi Veggenti e i loro strani tarocchi sono rispettati da tutti nella Corte del Giorno e in molti sono ansiosi di conoscere il proprio passato.
I CORSARI DEL NULLA

Quando ancora questi Corsari solcavano i sette cieli sul loro vascello, la Signora dei Nembi, erano i migliori a pescare fulmini, a imbrigliare i freddi venti del Nord e a catturare le nuvole più grasse per farne profumi e stoffe pregiate. Da bravi bucanieri, nel rispetto s’intende delle lettere di corsa, si facevano guidare e sedurre facilmente da ogni piacere, così come la nave segue docile il timone quando le sirene non cantano burrasca.
Quando si alzò al cielo l'urlo che precede il Nulla, i Corsari provarono a solcare quel mare sconosciuto. Secondo alcuni lo fecero credendo che sarebbe stata buona cosa governare con il loro Vascello quella forza distruttrice, agganciandola alla chiglia e obbligandola a virar verso altri lidi. Per altri invece i Corsari volevano soltano cercar nuove ricchezze verso l'ignoto. Nessuno sa come la storia iniziò- Ma in molti videro come finì. C’è chi ancor oggi racconta di aver visto la Signora dei Nembi scomparire nel niente come divorata in un sol boccone, mentre i Corsari riuscirono a salvarsi in cambio di un grande sacrificio: un lembo della loro anima venne strappata via per calmare anche solo per alcuni istanti la fame del Nulla.
Da quel giorno sui cuori di questi coraggiosi bucanieri pende una maledizione in costante espansione: il sapore del vino si muta in cenere, l’abbraccio di uomini e donne non scalda il cuore e persino l’oro e gemme sembrano brillare di una luce minore. Eppure i bianchi corsari non si danno per vinti, ancora bramosi di godersi la vita, pur in un mondo alla fine del mondo, e faranno di tutto per spezzare il maleficio del nulla, scovare un signore che possa dar loro una nuova bolla di corsa e ritrovare la Signora dei Nembi.
La loro vita non sarà facile però, in molti nella Corte del Giorno non si fidano dei Corsari, poiché si dice che essi possano rubare storie, amori e ricordi.
GLI ESULI DEL MIRAGGIO

Queste sono le orme di un lungo cammino. Questa è un’arabeggiante melodia. Questa è la favola di AlAbuzAbir, la Città del Miraggio, il gioiello dei deserti, e del suo Califfo, Harun al-Rashid.
In un tempo ormai perduto, Harun e la sua corte banchettavano fumando tabacco alla rosa, ascoltando i saggi d’ogni luogo favellare di filosofia e divinità, mentre la bellezza delle costellazioni veniva gustata come nettare prezioso e il fumo d’incenso saliva dalle strade fino alle alte cupole dorate. Ogni mattino, i profeti interrogavano le sincere nuvole dell’alba e divinavano il futuro della Città del Miraggio ma, quando il Nulla si levò affamato, ogni visione si fece fredda, vuota e distante.
Harun al-Rashid radunò così i suoi più fidi consiglieri, i saggi Visir, i mistici Dervisci e le scaltre e sapienti Odalische della sua corte. Fu deciso che AlAbuzAbir andava ad ogni costo salvata. Con un nome rubato alla terra e la piuma di un angelo nero fu chiamato in aiuto un misterioso straniero. Un genio perso fra terra e cielo dissero alcuni. Un ifrit dagli occhi di fiamma, proposero altri. Al-Shaitan stesso, mormorano in pochi. Lo straniero accettò di salvare la città delle città. Ma la libertà fu il prezzo richiesto.

Così Harun al-Rashid e la sua gente arrivarono alla Rocca d’Avorio, portando con sé una bottiglia colma delle sabbie del tempo. Alcuni dicono che in verità la Città del Miraggio stessa sia celata lì dentro e che solo servendo come umili schiavi gli Esuli potranno riportarla alla luce.
Ma la verità è sempre nascosta e solo Allah conosce ogni cosa.
I VERMIGLI

Esistono colpe senza perdono, anche in quello che resta del Regno Incantato. Quando il primo giuramento fu infranto, gli stessi traditori che distrussero quella sacra promessa, le cui parole sono ormai dimenticate, aprirono le porte della Rocca d’Avorio, lasciando che i venti del Nulla soffiassero al suo interno, rapendo ricordi, persone e storia. Sconfitti e imprigionati, i vili ingannatori furono tra loro separati e obbligati dalla magia del secondo giuramento a servire chi la Corte del Giorno e chi quella della Notte.
Da allora essi, con il disprezzo di tutte le genti, vengono chiamati Vermigli e obbligati a portare una fascia cremisi sopra le loro vesti bianche o nere come ricordo del loro grande peccato.
Quale sarà il ruolo di questi traditori, alla vigilia dell’ultimo racconto?

Costretti a portare una fascia cremisi in ricordo del loro terribile peccato e disprezzati da tutte le genti, i Vermigli della Corte del Giorno sono relegati dalla severa Regola Bianca tra le fila degli ultimi e degli esclusi. Nessun diritto è loro concesso e chiunque si può arrogare la potestà di comandarli, persino quegli Esuli mutati in servitori da un incauto patto, sebbene in molti preferiscano semplicemente evitare gli scarlatti traditori. Per questo i Vermigli bianchi formano tra loro un gruppo chiuso, come fragile scudo contro l’ostilità del Giorno, di cui chiunque sembra ignorare gli scopi. Dalle poche frasi rubate alle loro conversazioni, pare che essi agiscano per una misteriosa Causa e vogliano proteggere un antico Segreto, certi che il Nulla non abbia distrutto tutti i loro ricordi. Ma cosa ci sia di vero, nelle parole di questi infami Vermigli, nessuno è in grado di dirlo.



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