!DOCTYPE html> Le formazioni partigiane - I ribelli della montagna - un larp di Terre Spezzate

★ Le formazioni partigiane ★

Letture consigliate: “Una Questione Privata”, Beppe Fenoglio; “Generazione Ribelle - diari e lettere dal 1943 al 1945”, a cura di Mario Avagliano; “L’Agnese va a Morire”, Renata Viganò; “Il Sentiero dei Nidi di Ragno”, Italo Calvino; "Partigiani della Montagna", Giorgio Bocca. Vedi tutti i personaggi partigiani del larp

LA BRIGATA "STELLA ROSSA"

“Dalle belle città date al nemico
fuggimmo un dì su per l'aride montagne,
cercando libertà tra rupe e rupe,
contro la schiavitù del suol tradito.
Lasciammo case, scuole ed officine,
mutammo in caserme le vecchie cascine,
armammo le mani di bombe e mitraglia,
temprammo i muscoli ed i cuori in battaglia.”

I Ribelli della Montagna, Emilio Casalini, 1944

La Brigata “Stella Rossa” è una formazione partigiana nata per volontà e non per costrizione, con uomini che imbracciano le armi senza cartoline e senza precetti. Una formazione numerosa radicata sul territorio che in meno di un anno ha raggiunto oltre mille unità. Una formazione politicamente autonoma in cui comunisti, anarchici, socialisti, monarchici, ex-carabinieri, ex militari, contadini, donne, gente comune, si riuniscono sotto un unico dogma: l’antifascismo. Nessuna politica - slegata dai comitati comunisti e cattolici, la brigata procede per la propria strada con un unico obiettivo: annientare l’oppressore straniero. Una formazione composta da ribelli che può contare sull’appoggio della popolazione che fornisce nascondigli, cibo, aiuti e supporto. Nessuna ricompensa, nessun privilegio. Nascosti nei boschi, celati dalla vegetazione, occultati dalla montagna. Una formazione combattente che in meno di un anno ha procurato decine di sconfitte e danni all’esercito tedesco con tattiche di guerriglia e sabotaggio. Seppur priva di mezzi e con armi nemmeno paragonabili a quelle della Wehrmacht, procura perdite fortissime al nemico.

Una formazione partigiana che lotta per un’Italia diversa credendo in un futuro migliore se non per se stessi, per i propri figli. Uomini e donne senza eroismi e senza retorica che hanno raccolto dal fango il cuore del popolo italiano pronti a dare la vita.

Una formazione che prende il nome di BRIGATA STELLA ROSSA.

LA BRIGATA "FIAMME VERDI"

“Noi baldi ribelli d'Italia
dal fuoco e dal freddo temprati,
sui monti ci siamo portati
a difendere la patria e l'onor.
Le fiamme verdi dei vecchi alpini
i nostri petti fregiano ancora,
noi vogliam libera la patria nostra
o per l'Italia tutti si muor!”

Prime strofe dell’Inno delle Fiamme Verdi

Le Fiamme Verdi di Don Carlo sono una brigata di orientamento dichiaratamente cattolico ma indipendente, che fra le proprie fila annovera combattenti orgogliosi ed integri, attenti alla condotta in guerra dell’alleato tanto quanto a quella del nemico. Sdegnati dall’idea di trarre vantaggi personali da una qualsiasi situazione a danno dei propri fratelli o del Paese, non combattono per l’avventura, né per crearsi situazioni di privilegio o per mettersi al riparo da questioni personali. Fiducioso nell’aiuto di Dio, il piccolo gruppo della Valle del Lavino dei partigiani delle Fiamme Verdi combatte gli invasori con nobiltà d’animo anche verso il nemico vinto ed abbattuto: troppo grande è la causa che il patriota difende per sminuirla con qualunque cosa meno nobile e meno degna.

Leale, onesto, nobile d’animo, sereno e integro: queste le caratteristiche del Patriota delle Fiamme Verdi, messe nere su bianco nel loro atto istituzionale.

Don Domenico “Carlo” Orlandini fondò la Brigata Fiamme Verdi a Reggio Emilia in seguito ad alcuni dissidi insanabili con la Resistenza di stampo comunista della regione: le discussioni interne di politica, la pratica del saccheggio indiscriminato e l’inettitudine dei comandanti dovevano lasciare il posto alla disciplina ed a uomini dotati di capacità e coraggio.

INVIATI DEL CLN

“Vedevamo a portata di mano,
Dietro il tronco, il cespuglio, il canneto,
L'avvenire d'un mondo più umano
E più giusto, più libero e lieto.”

Oltre il Ponte, Italo Calvino, 1961

Il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), l’organo di coordinamento tra tutte le formazioni dei ribelli italiani, non ha dubbi: prima di tutto sconfiggeranno il nemico esterno e solo dopo la vittoria decideranno quale forma istituzionale avrà l’Italia rinata. E saranno gli Italiani stessi a deciderlo.

Quale altra idea si potrebbe avere, all’indomani dell’annuncio di un armistizio con gli anglo-americani da parte di un’Italia invasa dalle truppe tedesche? Quale fiducia si può avere nei governanti, dopo aver visto il proprio re fuggire da una capitale dichiarata città aperta? Gli Italiani sono stati delusi a sufficienza da rappresentanti inetti, adesso saranno loro stessi a decidere del proprio futuro. E secondo molti, sarà un futuro radioso, giusto, in cui le differenze e le sperequazioni non saranno tollerate. Un mondo nuovo, un’Italia giusta. Ora tuttavia è il disordine a regnare, e la lotta contro l’occupante deve avere la priorità assoluta, ma nel combatterla ogni divisione politica e sociale deve essere messa da parte.

Il CLN opera su scala nazionale fin dall’inizio della guerra. Ha molti contatti, persino tra i militi dell’RSI, e si avvale dell’operato di guerriglieri esperti, veterani della guerra di Spagna o disertori. Il CLN é l’unico mezzo per i ribelli italiani di interloquire con le forze angloamericane in avanzamento: i suoi uomini, marconisti abili e traduttori di grande esperienza, sono una risorsa imprescindibile per la buona riuscita della lotta di Liberazione, anche a Montelupo.

Ed oltre alla lotta qualcuno necessariamente ha da farsi carico della gestione del Paese: a farlo sarà il CLN, i cui membri non sono solo ardimentosi combattenti, ma anche lungimiranti uomini con una coscienza politica netta che pensano ad un’Italia successiva alla Liberazione, un’Italia il cui destino sarà finalmente forgiato dagli Italiani. Che si tratti dei colli di Roma o dei boschi di Monte Sole, gli uomini del CLN saranno sempre presenti per ricordare a tutti i compatrioti che è nell’ora più buia che occorre alzare lo sguardo da terra e fissarlo nuovamente sulla luce di domani.