L'ULTIMA SAGA
Dove sono cavallo e cavaliere? Dov'è il corno dal suono violento?



La guerra è ormai conclusa. Gli stendardi stranieri della Chiesa e del Regno sventolano sulle ancestrali dimore. La memoria degli antichi Spiriti svanisce. La saga delle libere genti, iniziata da più di mille stagioni, sembra sul punto di finire. Ascoltatela dall’inizio. Per l’ultima volta.
Nei tempi antichi, i Re del Nord della famiglia Alanera dominavano le terre di gelo e di bruma con spietata autorità. Tuttavia, nessuna furia è abbastanza forte da sottomettere a lungo gli orgogliosi guerrieri nati sotto al cielo boreale. Uniti in schiera, barbari e pitti deposero a colpi di ascia i feroci sovrani. Fu così che il Nord divenne terra non di signori ma di primi fra pari. Fu così che la Corona di Ferro, simbolo degli antichi Re, venne consegnata agli sciamani del Gufo, perché in eterno la custodissero dalla bramosia degli uomini. I figli del Falco divennero guida dei Clan, mentre i Duchi di Castelbruma, troppo legati alle vie di un tempo, giurarono fedeltà ai principi d’Urso.

Scandita dalle storie dei Cantori, trascorse quella lunga danza di inverni che gli uomini del Sud chiamano epoca. Furono secoli di grandi imprese, di scorribande e razzia, di faide di sangue e canti di spade. Furono stagioni rese eterne dalle saghe. Una delle più famose, che ancora oggi si canta attorno ai fuochi, accadde in quell’arida estate passata ormai da dieci e dieci anni.
Le schiere del Lupo, fameliche come non mai di bottino, assalirono il clan della Lince, sbaragliandone in poco le impreparate difese e saccheggiando con ingordigia. Nessuno dei barbari, tenuti a bada dal Falco, aiutò i pitti ad esigere giusta vendetta. Si mossero invece gli armigeri Alanera, forse per rappresaglia, forse per convenienza, per cingere d’assedio Altea, roccaforte del Lupo. Dopo la battaglia, i guerrieri del Clan giacevano sconfitti e il Duca Clodoveo, come legittima preda di guerra, rapì Crimilde, l’infante figlia di capi, per farne la sua sposa. Fu una faida gloriosa, per vinti e vincitori. Fu scontro di sangue e di onore. Fu fatta la volontà degli Spiriti.

Mentre il Nord restava uguale a se stesso, come non toccato dal tempo, il resto delle Terre Spezzate cambiava, unito sotto ad unico stendardo da un nuovo Regno e dalla sua Chiesa. Sul trono che fu del Profeta saliva Edoardo dei Castamanti, intenzionato a completare l’opera di conquista iniziata dai suoi antenati.

Fu l’inizio della fine.

Alarico d’Urso, principe di Castelbruma, decise di prendere l’iniziativa e attaccare il cuore del Regno. I barbari non vollero seguirlo e, anzi, il clan del Falco armò le sue lunghe navi per spingersi a saccheggiare le coste dell’estremo Sud, certo che le truppe dei Castamanti sarebbero state impegnate altrove. Come rappresaglia, Alarico mandò un manipolo di armati alla Gargiarocca, l’isola del Falco, per sottrarre l’indifeso Corno dei Venti, il leggendario simbolo dell’unione tra uomini e Spiriti.

La campagna brumiana volse al peggio. In un isolato baluardo di campagna le armate di Alarico incontrarono la sconfitta decisiva. Forte della sua vittoria, Re Edoardo rivolse il suo sguardo verso Nord, deciso a sottomettere e convertire i suoi riottosi abitanti una volta per tutte.

La Rocca di Castelbruma fu presa d’assedio. Il d’Urso chiamò a raccolta tutti i suoi vassalli ma i sempre ambiziosi Alanera ruppero il vincolo di fedeltà, intenzionati a respingere gli invasori solo dopo la caduta di Alarico. Edoardo vinse la battaglia e la testa del Principe fu esposta su di una picca. Suo figlio, Meroveo, riuscì a fuggire grazie all’aiuto dei bruti Orsieri. Durante la battaglia, si perse ogni traccia di Griselda, la lama della Bruma, e del Corno dei Venti.

Senza più un principe, il Duca Clotario Portalupo riconobbe il diritto di conquista di Re Edoardo e piegò il ginocchio, salvando la sua gente da un massacro. Dopo essersi convertito, il Duca ottenne il titolo di Vescovo del Nord e l’incarico di spezzare ogni resistenza residua. Si mosse contro Corvia, la cittadella degli Alanera e in breve tempo ne sfondò le pesanti porte. Il Duca Clodoveo Alanera, pur di non lasciare la casa dei suoi Padri in mano nemica, la diede alle fiamme e fuggì verso Nord scortato dal suo seguito personale, cercando rifugio presso il Clan della Lince.

Castelbruma era caduta. L’inverno, con il suo bianco manto, portò un momento di quiete innaturale nel martoriato Nord.

Quando le nevi iniziarono a sciogliersi, i guerrieri del Falco tornarono alla loro isola, solo per trovarla circondata dalle invincibili navi del Re. Senza un approdo sicuro, Falcobrando, capo del Clan e Primo tra i Pari dei barbari, guidò i suoi razziatori verso il continente ma, appena sbarcato, venne assassinato in circostanze misteriose. Privi di una guida, i figli del Falco si dispersero per le foreste. Molti caddero nelle imboscate degli esploratori del Vescovo, mentre altri, pochi, riuscirono finalmente a trovare rifugio presso il Clan del Gufo.

Con la primavera, il Duca Portalupo riprese la sua offensiva, invadendo la terra di barbari e pitti. Circondò Bassorivo, antica casa del Cervo. Cervanera, capo del clan, decise di arrendersi e di convertirsi senza combattere. Fu in quel momento che il suo sposo, Ardente del Cervo, capì che solo il ritorno del Re del Nord avrebbe salvato la sua gente. Protetto dalla notte, andò fino a dove le figlie del fiume, vestali del Clan del Gufo, custodivano l’antica Corona di Ferro e tentò di rubarla. Venne sorpreso e ucciso ma la Corona fu spezzata durante lo scontro.
Incalzati dalle truppe del Vescovo Portalupo e spaventati da questo presagio, i Pitti della Lince e del Gufo abbandonarono le loro dimore per rifugiarsi nel fitto delle foreste, subendo terribili perdite durante la ritirata.

Nel volgere di un mese, di tutti villaggi del Nord, solo Altea, roccaforte del Clan del Lupo, ancora poteva dirsi libera.

Nel volgere di un mese, il Nord era battuto.
La guerra è ormai conclusa. Gli stendardi stranieri della Chiesa e del Regno sventolano sulle ancestrali dimore. La memoria degli antichi Spiriti svanisce. Disperati, gli sciamani del Gufo chiamano a raccolta gli ultimi eroi di barbari e pitti. Contro alle tradizioni, l'astuta Lince convoca anche gli esuli di Castelbruma. Con passo pesante, in pochi marciano verso la sacra radura. Sono divisi. Odio vecchio di generazioni o fresco come il respiro dei morti. Portano nel cuore una legge di vendetta e di onore. Alcuni sognano un’impossibile vittoria. Altri, l’immortalità delle canzoni.

Il cielo trema, sul punto di cadere, mentre il Crepuscolo degli Dei si avvicina.